Sam Levinson, showrunner di “Euphoria“, recupera la sua attrice feticcio Zendaya e le affianca John David Washington nel primo film hollywoodiano “pandemico”. Concepito in fretta e furia e girato in 20 giorni nell’estate 2020 in un’isolata villa californiana, racconta una serata nella vita di Malcolm, un regista, e Marie, la sua compagna.

Il problema è che, pur dando spazio al talento dei due attori, il film è tutto urlato, sopra le righe, una litigata senza sosta che rischia di stremare lo spettatore. Ad un certo punto un personaggio dice all’altro: “You’re being dramatic“. Ecco, il film è esattamente così: melodrammatico, enfatico. I dialoghi sono un calderone di temi caldissimi: la donna, il black cinema della contemporaneità e la sua lettura in chiave politica, l’isolamento e naturalmente i rapporti di coppia. A Levinson manca però la capacità di dare un senso e una direzione al tutto: accenna, ma non approfondisce e non riesce a trarre un significato superiore dalle parole che mette in bocca ai propri personaggi.

recensione malcolm & marie

La co-protagonista, interpretata da Zendaya.

Certo, la messa in scena è raffinata, fatta di lunghi piani sequenza ben composti e di un bianco e nero affascinante, e gli interpreti danno il meglio di sé. Ma sono posti al servizio di una sceneggiatura monocorde e strepitante, che rischia di ubriacare lo spettatore con i suoi dialoghi fluviali e predicatori. Non a caso la scena più bella, raro momento di tregua nel film, è quella in cui Malcolm e Marie, seduti sul patio di casa, ascoltano una canzone che dice tutto ciò che vorrebbero dirsi. Il silenzio dei due parla più e meglio di loro.

recensione malcolm & marie

Forse la scena migliore del film.

Questa recensione è apparsa per la prima volta nella pagina Instagram di Frames Cinema, è quindi pensata per un post su Instagram più che per un sito web.

Jacopo Barbero
Jacopo Barbero,
Direttore editoriale.