“Seguitemi. Anche voi mi amerete. Anche voi diventerete… Fascisti”

Poteva essere il racconto intimista dei moderni rapporti sentimentali nel norvegese Kjærlighet (Love, Dag Johan Haugerud), o ancora la lotta al suprematismo bianco in The Order (Justin Kurzel), poteva essere il resoconto (estremamente di parte) dei fatti del 7 ottobre 2023 dell’israeliano Of dogs and men. Invece, è stato M. Il figlio del secolo a guadagnarsi, tristemente, il titolo di visione più attuale nell’ultima Mostra del Cinema di Venezia per la sottoscritta.

Racconto in 8 puntate diretto da Joe Wright (Orgoglio e pregiudizio, Espiazione) liberamente tratto dall’omonimo romanzo vincitore del premio Strega di Antonio Scurati, la miniserie italo-francese racconta l’ascesa al potere del dittatore italiano Benito Mussolini (interpretato da un superlativo Luca Marinelli), coprendo il periodo che va dalla fondazione del partito Fasci di combattimento fino al famigerato delitto Matteotti.

Anatomia di un dittatore

La particolarità del racconto di Wright si esemplifica già dall’inizio della serie: a raccontarci la sua vicenda è Mussolini stesso. Il dittatore si rivolge direttamente al pubblico in degli a parte di shakespeariana (o, per restare nell’ambito seriale, fleabagiana) memoria. Rivolgendosi alla macchina da presa, Mussolini\Marinelli ci racconta e si racconta, precisando il contesto storico in cui opera e svelando i suoi pensieri più nascosti.

L’obiettivo di un racconto tanto personale e, pertanto, rischioso? Presto detto: autori e attore hanno dichiarato di voler indagare il fenomeno costruitosi attorno a Mussolini, come il dittatore sia riuscito a mantenere vivo il culto della propria personalità e l’amore del popolo italiano. Perché d’amore si parla in M, lo stesso Mussolini ce lo dice nel suo primo intervento rivolto agli spettatori: “per vent’anni mi avete amato”, commenta mentre sullo schermo passano i filmati storici del suo dominio prima e della morte e successiva deturpazione del cadavere poi. Un amore che, come Mussolini nota, ancora persiste: “Guardatevi attorno… siamo ancora tra voi”.

Il Mussolini interpretato da Marineli traccia una linea diretta tra passato e presente, non solo attraverso citazioni esplicite (la più spudorata nella quarta puntata) ma anche con i suoi modi, reminiscenti di diversi attuali politici di estrema destra: le tecniche oratorie, colme di una retorica in ultima istanza vuota (“il fascismo è tutto e il contrario di tutto”), toni e gesti teatrali, studiati per suscitare una reazione, e una mentalità che conta di fare leva sulla disperazione e la rabbia degli ultimi per raggiungere il consenso.

Ma anche un uomo politico pronto a negare ogni proprio valore per salire sempre più in alto: la “fede” socialista e il supporto al proletariato barattati per soldi, il rifiuto della Chiesa tradito coi Patti Lateranensi, le elezioni prima duramente opposte e poi accettate… “Ho tradito tutti, anche me stesso” confessa con leggerezza una volta arrivato al Parlamento, primo passo di un oscuro cursus honorum che lo spinge a negarsi sempre di più. 

E ancora, un uomo privato rozzo e affatto acculturato, dipendente dall’intelligenza del collaboratore Cesare Rossi (Francesco Russo) e soprattutto dell’amante Margherita Sarfatti (Barbara Chichiarelli), bisognoso di continue conferme riguardo alla sua virilità e ad un amor di popolo che prende la forma di parate, statue, gesti rituali, autodichiarato ‘ardito’, in verità vigliacco. Insomma, un uomo incoerente e ridicolo che come ridicolo viene trattato in più occasioni. Ma un uomo ridicolo alla guida di un intero paese. E per questo, pericoloso. 

Anatomia di una dittatura

Sin dal primo episodio la serie non lesina nel mostrarci in tutta la sua crudeltà la violenza dei fascisti della prima ora, con un montaggio frenetico, quasi epilettico, che non risparmia i dettagli più cruenti. Queste esplosioni di brutalità culminano col famigerato delitto Matteotti, alle cui conseguenze (o meglio, non conseguenze) sono dedicate le ultime puntate della serie. Episodio dopo episodio, l’orrore dell’affermazione fascista si va a sedimentare sempre di più, raggiungendo il suo acme durante la famosa ammissione di colpa del dittatore avvenuta il 2 gennaio 1925. Dopo momenti di estrema tensione, dopo aver osservato nei suoi dettagli più macabri la nascita di un governo fondato sul sangue e sul culto della personalità di un megalomane, la serie ci lascia con un’ultima, devastante stoccata: nell’indifferenza totale, assistiamo alla totale morte della democrazia.

Conclusioni

Scegliendo un soggetto spinoso come l’ascesa politica di Mussolini, M-Il figlio del secolo da storia del personaggio non può che diventare anche storia d’Italia: quella di ieri e, in fin dei conti, quella di oggi. Ricordandoci le premesse storiche nelle quali una figura così carismatica e assetata di potere come Mussolini ha potuto trovare terreno fertile per attecchire e far crescere i propri frutti, la serie ci chiede di guardarci intorno sin dai suoi primi minuti. 

Il passato e il suo studio, d’altronde, dovrebbero fungere da strumento di comprensione del presente e monito per un ideale futuro migliore. Peccato che, ancora prima che M uscisse, molti di noi sembrano aver dimenticato il suo messaggio, preferendogli un sempreverde ‘ha fatto anche cose buone’.

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Silvia Strambi,
Redattrice.