Luca, ventiquattresimo film PIXAR ed esordio al lungometraggio del genovese Enrico Casarosa (già autore del sublime corto La luna), si apre di notte, con una barca da pesca che naviga verso un’isoletta che ricorda gli iconici scogli di Aci Trezza del viscontiano La terra trema. A bordo vi sono due pescatori, un vecchio e un giovane: indossano entrambi la coppola, parlano di inquietanti leggende del mare, prorompono in esclamazioni come “Per mille sardine!” e, per sentirsi più a loro agio, hanno persino un grammofono che fa risuonare l’aria O mio babbino caro dal Gianni Schicchi di Puccini nella placida notte ligure.
Con questo attacco, Casarosa trasporta l’audience globale della PIXAR nel Belpaese, nella sua patria da lungo tempo abbandonata per inseguire il sogno del cinema in America. In Luca – coming of age di due giovani mostri marini, Luca e Alberto, che negli anni ‘60 vogliono provare a vivere come umani sulla terraferma e si imbarcano in una divertente avventura estiva nell’immaginario borgo ligure di Portorosso – l’Italia è rappresentata come il luogo del godimento della vita: il film trabocca di calore umano, colori, gelato, frutta, pasta, libri, cinema (dalla nonnina addormentata davanti alla mangiata finale de I soliti ignoti di Monicelli alla locandina di Vacanze romane di Wyler, passando per la foto di Marcello Mastroianni appesa sullo specchietto di una moto). In tal senso ha ragione chi ha paragonato il film a Chiamami col tuo nome di Guadagnino, altra pellicola che rappresenta l’Italia come patria del piacere dei sensi, in cui chi giunge dall’esterno (là l’americano Oliver, qua Luca e Alberto) può lasciarsi alle spalle i doveri, i timori e le limitazioni della “vita vera” e immergersi nell’italico locus amoenus.
Per uno spettatore straniero – e statunitense in particolare – le avventure estive di Luca e Alberto devono apparire come un meraviglioso viaggio in questa sorta di paradisiaco e nostalgico parco di divertimenti. Per noi italiani, invece, resta soprattutto il piacere di rivivere i nostri luoghi e le nostre infanzie in una dimensione idealizzata (e affettuosamente stereotipata), che Casarosa e gli artisti visuali della PIXAR hanno ricreato con impressionante cura del dettaglio (che, ahinoi, siamo costretti a fruire solo su Disney+): dai tipici bicchieri da trattoria alle insegne dei bar, dai portici ai classici carruggi liguri, fino all’intera Portorosso, che pare davvero la fotocopia di Vernazza, una delle Cinque Terre. Il tutto, naturalmente, pervaso da voci mitiche della musica italiana, da Mina a Gianni Morandi, passando per Rita Pavone e Edoardo Bennato.
In tutta questa attenzione alla dimensione visiva, però, manca forse la visionarietà a cui la PIXAR ci ha abituato: non c’è, insomma, l’intuizione folgorante, l’immagine capace di farsi portatrice del senso del film (il topo sotto il cappello o la casa sollevata dai palloncini, per capirci). Anche la costruzione della storia e dei personaggi – pur pienamente coerente e tutto sommato inattaccabile – risulta molto semplice e non solo da un punto di vista narrativo (chiaramente in tal senso non vi è la complessità di Inside Out o Soul), ma anche e soprattutto emotivo: film come Up o Coco, forse le pellicole PIXAR concettualmente più vicine a Luca, hanno tutto un altro spessore e mettono in campo uno spettro emozionale che, purtroppo, l’amarcord italiano di Casarosa non riesce a coprire. Certo, i valori dell’amicizia, della famiglia e dell’accettazione dell’altro – temi cardine della poetica dello studio d’animazione statunitense – appaiono ben chiari anche qui, ma sono espressi in maniera molto più lineare e bidimensionale del solito e anche alcuni personaggi di contorno, dai genitori di Luca al villain Ercole Visconti, sono tutt’altro che memorabili.
Nel complesso Luca, pur non avendo il fascino e la complessità di altre avventure PIXAR o di un film del citatissimo Hayao Miyazaki (del quale almeno Ponyo sulla scogliera è abbondantemente ripreso in tantissime idee visive), resta comunque una pellicola di animazione superiore alla media, cinefila (la bella sequenza finale riecheggia nientepopodimeno che quella de I vitelloni di Fellini) e visivamente scintillante, capace di immergere il pubblico internazionale nell’Italian way of life e in un universo di piccoli e grandi piaceri quotidiani che, ora possiamo dirlo, tutto il mondo ci invidia.
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Ottima recensione per un film comunque più che piacevole anche se, come giustamente rimarcato dal redattore, non visionario come i consueti prodotti Pixar. Un bell’omaggio al Belpaese.