Dopo essere stato presentato al Sundance Film Festival e alla Berlinale, dopo una distribuzione statunitense risalente a marzo di quest’anno, arriva anche in Italia Love Lies Bleeding. Trattasi del secondo lungometraggio della promessa inglese Rose Glass, che ha debuttato nel 2019 col criticamente acclamato Santa Maud.
Il film, un thriller romantico ambientato nell’America rurale di fine anni ‘80, racconta della relazione tra la proprietaria di una palestra, Lou (Kristen Stewart), e una body builder appena arrivata in città in attesa di partecipare ad una competizione a Las Vegas, Jackie (Katy O’Brian). L’amore tra le due deve fare i conti con l’uso sempre più smodato, da parte di Jackie, di steroidi, e coi fumosi affari criminali del padre di Lou (Ed Harris).
Corpi ed armi
L’opera seconda di Glass è fondata sui corpi e sulla carnalità, ce lo dice la trama, ce lo dice la primissima sequenza ambientata nella palestra di Lou, concentrata attorno a dettagli dei corpi in allenamento e gli ambigui sospiri e gemiti prodotti dai frequentatori. Il corpo, specialmente quello di Jackie, diventa potenziale veicolo tanto del piacere, goduto appieno e in forme diverse, quanto di un malessere viscerale (non per niente rappresentato sotto forma di un altro corpo ancora: quello di Lou), oggetto di empowerment femminile e personale (Jackie afferma di volersi difendere da sola) ma anche di eccessi d’ira incontrollabili.
A questa dimensione certo ambigua e bipolare del corpo, ma pur sempre dotata di un elemento di calore sottolineato anche dalla fotografia, vengono fatte corrispondere le protagoniste femminili della vicenda (e d’altronde quale corpo, più di quello femminile, può essere tanto ricettacolo del piacere quanto del dolore?). Dall’altra parte, abbiamo invece la controparte maschile, quella del padre di Lou, il quale agisce sempre attraverso il tramite di una pistola, simbolo fallocentrico per eccellenza ed oggetto di contenziosi infiniti negli Stati Uniti certo anche perché portatore di un (percepito) potere sull’altro. Simbolo che, però, nel caso di Love Lies Bleeding (e senza entrare troppo in territorio spoiler), in più di un’occasione si dimostra fallimentare e difettoso.
Pulp, molto pulp
Love Lies Bleeding strizza evidentemente l’occhio al pulp, a quel genere letterario a basso prezzo portato prepotentemente su pellicola nel ‘94 da Tarantino col suo Pulp Fiction, quella dimensione fatta di sangue, violenza e crimini efferati fondata su una marcata esagerazione stilistica (il sangue, in Tarantino e compagni, non viene versato: scorre a fiumi).
La differenza rispetto all’opera tarantiniana e i suoi derivati è il puntare sulla non conformità sociale delle protagoniste: negli orientamenti sessuali (Lou è lesbica, Jackie bisessuale), nella rappresentazione e attrazione nei confronti di corpi femminili non rispondenti a canoni classici di bellezza (il fisico da bodybuilder di Jackie), ma anche e soprattutto nell’allineamento ad un’idea di morale e di legalità. Ponendo al centro della narrazione due amanti così atipiche secondo gli standard societari (dell’epoca, certo, ma anche di adesso) Glass si “riappropria” del crimine come espressione di una singolarità, di una alterità rispetto a ciò che è regolamentato e normalizzato.
Come novelle Thelma e Louise, Lou e Jackie si affidano a dei valori morali interamente personali perché beffarde nei confronti di un sistema di partenza che le vuole incasellate in categorie che a loro, donne non eterosessuali, non appartengono. Come Thelma e Louise, anche Lou e Jackie si possono garantire il lieto fine soltanto con un’uscita di scena “fantastica”, garantita dal mezzo cinema e dall’infrazione delle convenzioni imposte fino a quel momento dall’universo narrativo. L’unico finale possibile, certo, ma non per questo non tacciabile di sfociare nel ridicolo.
Allo stesso modo, pur riconoscendo al film di basarsi su premesse teoriche interessanti e offrendo generalmente una visione anche più che gradevole, se si accetta il patto narrativo iniziale di una storia “sotto steroidi”, non si può non segnalare come in Love Lies Bleeding il terzo atto sembri mettere il turbo rispetto alla narrazione precedente e come vengano introdotti al suo interno elementi che assumono una dimensione fondamentale pur non essendo stati necessariamente ben “preparati” precedentemente, o a cui si è fatto cenno molto en passant.
Conclusioni
A fronte di alcuni difetti nella realizzazione, Love Lies Bleeding resta comunque un interessante gioco sul genere, evidentemente consapevole delle regole che sta smontando, con dalla sua un’ottima chimica della coppia protagonista, un’interpretazione notevole da parte di O’ Brian, al suo primo ruolo da protagonista, e una notevole ed affatto scontata capacità di catturare attraverso le immagini lo stato d’animo dei personaggi.

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