Torna dopo vent’anni dall’ultimo lungometraggio (Il gioco di Ripley, 2002) la regista novantenne Liliana Cavani torna con L’ordine del tempo, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, dove Cavani è stata premiata col Leone D’Oro alla Carriera. Il film è anche arrivato il 31 agosto in sala in tutta Italia.
Protagonista un cast di star soprattutto italiane di tutto rispetto: Alessandro Gassmann, Edoardo Leo, Claudia Gerini, Valentina Cervi tra gli altri.
Il film segue la storia di un gruppo di amici che, in occasione del cinquantesimo compleanno di Elsa (Gerini), si ritrova nella casa al mare di quest’ultima e del marito Pietro (Gassmann). Presente è anche Enrico (Leo), un fisico che porta con sé una tremenda notizia: un asteroide dalla portata potenzialmente distruttiva è entrato nel Sistema Solare e minaccia di distruggere la Terra.
Lungi dal porre l’accento sulle implicazioni sociali di un evento simile come era in Don’t look up o, per fare un esempio meno recente, rendere la premessa un’occasione di celebrazione della specie umana (ma soprattutto dell’America) e della sua capacità di vincere/sconfiggere la natura come in Armageddon -Giudizio finale, il film di Cavani vira maggiormente su un approccio alla Melancholia, affrontando l’impatto psicologico di un simile evento su tutti i protagonisti. Ma se nel film di Von Trier l’imminente fine del mondo era usata come pretesto per affrontare il tema della depressione, qui la conseguenza del fatto sui personaggi è il più scontato e probabilmente ricorrente nella cinematografia italiana degli ultimi venti (e passa) anni: l’essere così vicino alla morte spinge infatti questi uomini e donne di mezza età a rivedere le proprie scelte di vita e ad interrogarsi su relazioni e sentimenti.
Ma dal momento che ogni idea non è originale e che ogni storia è stata già raccontata (ricordiamo che, secondo Booker, esistono solo 7 tipi di trame fondamentali), il problema come al solito non sta nel ‘cosa’ ma nel ‘come’. Ed è il ‘come’ ad essere, anch’esso, assai scialbo: i protagonisti non fanno che raccontarsi agli altri (e al pubblico) per due lunghe ore, ricordando fatti, persone e relazioni interpersonali che, spesso e volentieri, appartengono al passato e che fanno la loro breve apparizione in maniera tanto frettolosa quanto inaspettata.. Ogni personaggio, sembra pretendere la sceneggiatura, deve avere il suo personale trauma o il proprio dramma irrisolto, qualsiasi esso sia e comunque sia (o meglio, non sia) stato introdotto in maniera organica sin dall’inizio nelle azioni e nelle parole dei rispettivi personaggi. Peccato non basti un trauma o una passione amorosa tragica per rendere un personaggio interessante (anche se molti media moderni sembrano crederlo).
Completano il tutto riflessioni su un po’ di tutto (ambientalismo, religione, nazismo, ad un certo punto si parla persino di granchi blu) che però poco (se non proprio nulla) di nuovo o di originale hanno da dire rispetto a ciò che è già stato detto, e magari meglio, da altri autori.
Sia chiaro, L’ordine del tempo non è e non sarà certo il peggior film presentato alla Mostra quest’anno, ma ha un grande, enorme difetto: è noioso, nella scrittura e nella regia, nonostante l’illustre mano che c’è alle spalle.
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