Dopo il film-documentario Leto (2018),  Kirill Serebrennikov torna a occuparsi di biografie, portando sullo schermo la vita controversa di Eduard Limonov, all’anagrafe Ėduard Veniaminovič Savenko (1943-2020) in Limonov – The Ballad.

Il biopic è tratto dall’omonimo libro di Emmanuel Carrère (Adelphi, 2012) ed è stato presentato in concorso a Cannes a maggio 2024. È stato girato principalmente in inglese con un Ben Whishaw abbastanza convincente nei panni del protagonista, nonostante gli sia stato chiesto di recitare con l’accento russo e il risultato suoni spesso molto stereotipato. Ad eccezione di questo dettaglio, è in realtà una scelta che ha funzionato nel rendere il racconto immersivo e dargli l’aspetto di un vero documentario. Il film è diviso in capitoli tematici che associano a ciascun elemento (patria, rivoluzione, gloria, tempo, guerra, destino) una fase della vita di Limonov, scrittore e dissidente politico. 

La prima parte è un po’ meno godibile del resto per il fatto che Serebrennikov riproduce rigorosamente l’ordine cronologico dei fatti, dando tanto spazio alla gioventù del protagonista quando, da un punto di vista strettamente narrativo, gli eventi significativi si concentrano più avanti: questo penalizza un po’ il ritmo, che poi però accelera e compensa con uno sviluppo più coinvolgente. Ben Whishaw nei panni del giovane Eddie si fa detestare facilmente per tutta la prima ora del film: d’altra parte però è esattamente come ci si aspetta che sia un giovane egocentrico e carico di un risentimento che non sa ancora indirizzare. Prima dell’impegno politico c’era solo il desiderio di grandezza di un ragazzo che scriveva poesie, si innamorava facilmente ma allo stesso tempo disprezzava gran parte della società. L’infatuazione in Limonov è infatti quasi sempre una proiezione di sé, della propria ricerca del piacere, più che un vero apprezzamento rivolto all’esterno.

I corpi e le ossessioni

I personaggi femminili principali sono per lo più figure generiche, prive di un carattere proprio ma sulla quale semplicemente si riflette l’ambizione anarchica di Limonov. Così come inizialmente c’è Anna (Maša Maškova), molto simile a lui e che quindi viene abbandonata insieme alla casa d’origine, poi c’è Lena (Viktorija Mirošničenko), la prima donna che incontra a Mosca e che al momento dell’esilio -vissuto da loro come una liberazione dal grigiore dell’URSS- lo seguirà a New York. Per lei Limonov compie gesti estremi senza esitazione. Da una parte sappiamo che l’ossessione è un tema ricorrente nell’opera di Serebrennikov, dall’altra questa volta Lena non sarà il vero centro di tutto ma, come è realistico che sia trattandosi di Limonov, solo il motore di una delle transizioni della storia. Il sesso nella vita di Eddie è un mezzo come un altro per interagire, con sé stesso e con gli altri, e per sfogare la passione travolgente e talvolta malsana che lo caratterizza. Qual’è il fine di questo continuo tentativo di comunicare? Lui – o almeno la versione di lui che conosciamo tramite i suoi scritti e la biografia- non ha mai cercato la fama per un vantaggio materiale, ogni sua decisione è frenetica e mossa da un senso di ingiustizia estremamente profondo, vissuto prima sul piano personale e poi su quello sociale.

Il protagonista rimbalza in continuazione da un episodio all’altro in una sorta di odissea dai toni più punk che epici, in un’atmosfera impregnata della controcultura degli anni Settanta, con la sua estetica, la sua musica e l’immancabile citazione di Taxi Driver. È molto difficile, a volte quasi impossibile, distinguere quello che accade realmente da quello che Limonov immagina. Non si intuiscono nell’espressività del protagonista momenti di dubbio o ripensamento, e le transizioni non lasciano troppo tempo allo spettatore per fare congetture. Mentre la frenesia si affievolisce, man mano che Limonov vede finalmente pubblicati i suoi libri e trova il modo di sfruttare la società a suo vantaggio standoci dentro, il rifiuto di qualunque autorità rimane. Tornato in patria, fonda il partito nazional-bolscevico e affronta il carcere come dissidente. 

Raccontare la complessità 

Carrère  nel romanzo biografico dichiara: “Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio.” Serebrennikov ha deciso di essere provocatorio e politico e non poteva scegliere un soggetto migliore. Il regista considerato dissidente nella Russia di oggi ha voluto comporre un ritratto fedele e coinvolgente di un uomo che invece la Russia di oggi aveva finito col difenderla: cresciuto a Kharkiv, portava un cognome ucraino, e nonostante l’esperienza dell’esilio e del carcere ha combattuto insieme ai separatisti in Donbass dopo il  2014. Resta il dubbio che anche l’impegno sociale e il desiderio di fondare un partito siano nati per gloria personale, come proiezione della propria rabbia. Limonov da questo racconto sembra aver fatto coincidere la propria persona con la rabbia di una nazione intera solo per poterne giustificare l’esistenza. Serebrennikov ha raccontato tutto questo con la consapevolezza che solo chi ci è nato dentro, nella complessità della questione identitaria e politica russa, può avere: un buon film su un personaggio del genere può far conoscere, intrattenere e far riflettere, senza la presunzione di risposte che al momento non ha nessuno. 

Federica Rossi,
Redattrice.