In un’industria cinematografica ormai fagocitata da mere operazioni commerciali, volte allo scopo di sfruttare il più possibile i film che si rivelano vincenti, era solo questione di tempo prima che qualche casa di produzione cercasse di riportare nuovamente al cinema L’esorcista con una nuova pellicola. Operazione di certo non nuova, visti i quattro film usciti tra il 1977 ed il 2005 – tra i quali si contano un secondo capitolo da molti ritenuto uno dei seguiti horror meno riusciti del genere, un terzo capitolo riuscito ma inserito a forza nel canone dalla produzione, e l’accoppiata La genesi/Dominion che si pongono come due versioni entrambe problematiche di un prequel dell’originale – e le due stagioni di The Exorcist, serie tv andata in onda tra il 2017 ed il 2018 capace di conquistarsi una piccola nicchia di fan, ma cancellata in seguito all’acquisizione di Fox da parte di Disney e degli ascolti ritenuti non all’altezza.
Pensata inizialmente come un remake dell’originale del ’73, l’operazione di revival si è invece trasformata in un seguito vero e proprio dell’originale seguendo quanto fatto dalla recente trilogia di Halloween diretta da David Gordon Green, sicuramente non a caso scelto come regista anche di questa nuova pellicola, che pur senza cancellare i vari seguiti – quindi diversamente da quanto fatto con Halloween che invece prendeva come canonico soltanto il primo capitolo della saga e cancellava tutto il resto – si presenta qui come un fresh start, un nuovo inizio, dove però qualcosa non è andato per il verso giusto.
Rimanere fedeli con qualcosa di diverso
Dopo un apprezzabile inizio ambientato ad Haiti a fare il verso alla sequenza irachena dell’originale (di cui trovate qui un nostro approfondimento), un salto temporale ci porta nel presente per seguire Victor (Leslie Odom Jr.) ed Angela Fielding (Lidya Jewett) nella loro vita di tutti i giorni, fino a quando la normalità non viene spezzata dalla decisione di Angela di praticare assieme all’amica Katherine (Olivia Marcum) un rito per parlare con la defunta madre, a cui segue la scomparsa delle due per ben tre giorni, dopo i quali ricompaiono portando qualcosa con loro.
Sul fronte narrativo, Il credente cerca di costruire una successione di eventi molto fedele ai ritmi dell’originale: ci vengono presentati i protagonisti, viene eseguito un rito, le bambine cominciano a manifestare strani sintomi che portano i genitori a sottoporle a numerosi esami medici, ed il successivo vertere su sequenze sempre più inquietanti e sovrannaturali fino all’esplosione finale con l’esorcismo. Per tutta la prima parte del film ciò viene eseguito in maniera tutto sommato ottima, creando la giusta atmosfera grazie ad un dosaggio intelligente di momenti più calmi ed altri più inquietanti, destreggiandosi tra le due famiglie senza mai dare la sensazione che una delle due bambine abbia un’importanza maggiore. A sbilanciare il tutto alcuni jumpscare presenti in un numero forse eccessivo, ma che si dimostrano tutto sommato nemmeno troppo fastidiosi, complice un’ottima costruzione dell’atmosfera che usufruisce di un bilanciato utilizzo della colonna sonora..
Chi troppo vuole…
È proprio però nel momento in cui Victor, protagonista effettivo della pellicola, capisce di trovarsi davanti a qualcosa che trascende la normalità che la narrazione si perde però in un bicchier d’acqua. Innanzitutto la presenza di Elle Burstyn, grande ritorno nei panni di Chris MacNeil, si dimostra allo stesso tempo forzata e poco utile ai fini della trama, generando un paio di sequenze sicuramente d’impatto per i fan dell’originale, ma che si dimostrano tutto sommato come un mediocre riempitivo; successivamente si presenta la difficoltà di mettere in scena un esorcismo capace di tenere testa all’originale senza risultare una semplice compiatore. La scelta di non inserire un vero sacerdote nel rito a causa della scelta della Chiesa di non ritrovarsi coinvolta nella faccenda – elemento che avrebbe forse meritato un maggiore approfondimento anche in relazione a quanto messo in scena già nel primo capitolo – si presenta come una scelta sì azzardata, ma al tempo stesso idealmente vincente nel portare alla creazione di un piccolo gruppo di personaggi di inclinazioni religiose differenti – un pastore protestante, alcuni cattolici, una sacerdotessa che innesta alle credenze cristiane alcuni elementi della cultura africana – riuniti per affrontare un male comune. Il poco approfondimento sui singoli personaggi e la conseguente poca differenziazione tra di essi si manifesta in un insieme di preghiere recitate a bassa voce, crocefissi sventolati in faccia alle bambine possedute e candele aromatiche e rametti bruciati, che finiscono per creare una sequenza confusa e poco ispirata che scade in velocità nella banalità dell’eccesso e verso un finale fortemente anti climatico.
Sul lato tecnico si spendono in realtà poche parole: la messa in scena di David Gordon Green si attesta su un buon livello, senza guizzi particolari, ma capace per buona parte del film di costruire ottimamente la tensione grazie all’ottimo lavoro svolto dal direttore della fotografia Michael Simmons; il trucco utilizzato per le protagoniste, per i vari stadi della possessione e per i demoni, è di ottima fattura, così come la recitazione sia dei protagonisti che dei personaggi più secondari è tutto sommato buona anche se priva di interpretazioni degne di nota. Infine le – per fortuna pochissime – sequenze che sfruttano l’utilizzo di computer grafica mostrano il fianco a più di un difetto estraniando lo spettatore dalla visione.
Conclusioni
Conclusa la sua trilogia di Halloween, David Gordon Green torna al cinema con un nuovo L’esorcista – nelle intenzioni come apertura anche questa volta di un’altra trilogia – che, nonostante la buona partenza, finisce per ruzzolare rovinosamente in un mix tra fan service e desiderio di presentare qualcosa di nuovo senza spingere troppo sull’acceleratore, arrivando così ad un finale affrettato e tutt’altro che soddisfacente. Non basta quindi una buona messa in scena a salvare un film che poteva e doveva fare di più, conscio dell’eredità che doveva caricarsi sulle spalle, ma sotto il cui peso è inevitabilmente finito per soccombere.
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