Alessandro Borghi e Luca Marinelli tornano a recitare insieme dopo l’incontro fulminante in un film che è già culto, Non essere cattivo di Claudio Caligari, per interpretare nuovamente la storia di un’amicizia maschile complessa e grandiosa come il profilo di una montagna. Le Otto Montagne, scritto e diretto dalla coppia, cinematografica e di fatto, composta da Felix Van Groeningen (Alabama Monroe, Beautiful Boy) e Charlotte Vandermeersch, è un adattamento dell’omonimo e amatissimo romanzo di Paolo Cognetti, che nel 2017 aveva trionfato al premio Strega.
Il rapporto tra i due protagonisti, Pietro e Bruno, attraversa le inclinazioni del tempo ma non quelle dello spazio, che rimane invece invariato dall’infanzia all’età adulta. I due amici trovano infatti nella montagna il punto fermo della loro amicizia, lo spazio perfetto per l’incontro tra due mondi distanti. Pietro viene da Torino e la montagna rappresenta per lui «Il tempo della leggerezza» che si alterna inevitabilmente al «tempo della gravità», quello trascorso in città, scandito dai suoni invadenti delle macchine e da lunghe giornate trascorse al chiuso tra i muri di casa e di scuola. Bruno invece fonde già durante l’infanzia la sua vita e la sua formazione con le rocce delle montagne, creando un legame così solido che lo porterà a non desiderare mai di vedere cosa c’è al di là delle alte vette.
La montagna così si delinea da subito come la terza, silenziosa, protagonista del film, ritratta con un formato 4:3, quadrato, che serve l’intento di non ridurre il paesaggio a cartolina quanto quello di mantenere sempre saldo, ad ogni inquadratura il legame con i personaggi che lo abitano. Il rischio da non correre nella resa fotografica era chiaro -viene esplicitato anche all’interno della sceneggiatura proprio dal montanaro Bruno- cioè quello di assumere una prospettiva esterna, restituendo l’immagine della montagna semplicemente come natura, un concetto astratto che romanticizza gli aspetti più aspri della vita in alta quota. La supervisione di Paolo Cognetti sul progetto in questo senso è risultata decisiva, un maestro di montagna che ha guidato e messo alla prova gli autori e gli interpreti coinvolti radicandoli nel territorio.
Pietro arriva sulle alpi valdostane da villeggiante ed entra in contatto con la montagna grazie alla profonda passione che il padre nutre per le lunghe escursioni, preziosi momenti che rappresentano l’unica forma di evasione che si concede in una vita completamente dedita al lavoro. Nonostante questo, con il trascorrere degli anni, i ricordi che legano lui, suo padre e le alpi si fanno via via più rari, complice un rapporto difficile dove incomprensione e distanza diventano altezze insormontabili. Ed è anche da qui, dal difficile tentativo di venire a patti con l’eredità paterna – sia concreta che astratta – che si rinforza definitivamente il legame tra Pietro e Bruno. Se il primo si era allontanato dal padre in gioventù ribellandosi all’idea di vita che quest’ultimo desiderava per lui, il secondo si trova invece costretto, almeno inizialmente, a seguirne le tracce, diventando anch’esso muratore, per poi recidere altrettanto duramente, in età adulta, questo legame.
D’altra parte anche il rapporto tra Pietro e Bruno non scorre in modo lineare, conosce allontanamenti e silenzi che durano quasi vent’anni. Durante questo tempo Bruno stringe un rapporto sempre più forte con le proprie origini mentre Pietro sceglie di abbandonare completamente questo tassello della sua formazione. Come accade però nei grandi rapporti, caratterizzati da un’intesa che oltrepassa la quotidianità, il tempo trascorso non rappresenta un ostacolo ed è proprio sui silenzi che invece si costruisce la comprensione dell’altro.
A dare profondità alla ricerca e all’essenzialità espressiva di Pietro c’è Luca Marinelli la cui sensibilità e introversione trovano un proseguimento naturale con l’interpretazione del personaggio. Alessandro Borghi invece torna a misurarsi con la trasformazione del proprio corpo, lavorando in particolare sull’accento, e ci restituisce una delle sue interpretazioni più riuscite e credibili.
Le Otto Montagne è un ritratto libero dell’amicizia che riesce a costruire sui contrasti un orizzonte comune. I percorsi, come anche le bussole che guidano i protagonisti sono radicalmente diversi: pochi punti ma fissi per Bruno, una ricerca incessante, in continuo divenire per Pietro. Come due facce complementari della stessa medaglia, capita anche che amino le stesse persone, ma questo accade sempre in momenti sfalsati. Il viaggio di scoperta intrapreso da Pietro concede poco spazio alla presenza di affetti stabili nella sua vita e spesso Bruno sembra invece saperne colmare le mancanze, come accade prima con il padre e poi con la fidanzata, lasciando in Pietro non solo con la consapevolezza che Bruno sia una delle parti migliori di sé ma anche con il dubbio che possa essere in fondo un uomo migliore.
Non interessa però sapere chi tra i due possa avere ragione, resta infatti senza risposta il quesito esistenziale posto dai saggi del popolo nepalese nel quale si imbatte Pietro: in un mondo fatto a ruota, composto da otto mari e otto monti, con una grande vetta al suo centro – chiamata monte Sumeru- impara di più chi ha fatto il giro delle otto montagne o chi è salito in cima al monte Sumeru?
L’unica risposta certa risiede nel prestare attenzione alle sfide, alle risate, ai silenzi, alle increspature della vita che portano Bruno e Pietro a condividere la scalata più difficile, quella verso la comprensione di sé stessi.
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