Greta Scarano arriva al cinema con La vita da grandi, il suo primo lungometraggio da regista dopo il corto del 2022 Feliz navidad. Il film è ispirato al libro autobiografico Mia sorella mi rompe le balle. Una storia di autismo normale, scritto dai fratelli Damiano e Margherita Tercon.
Irene (Matilda De Angelis) è di Rimini, ma vive a Roma con il suo compagno (Adriano Pantaleo) e lavora in un’azienda che produce pannelli solari. In un breve periodo di assenza dei genitori (Maria Amelia Monti e Paolo Hendel) è costretta a tornare nella sua città di origine per badare al fratello autistico, il quarantenne Omar (Yuri Tuci). Questo soggiorno tra i ricordi dell’infanzia rinsalderà il loro rapporto e porterà a delle consapevolezze inaspettate.
Lo sviluppo della trama è semplice, senza pretese, e non mira all’imprevedibilità della narrazione, ma si focalizza sui personaggi principali (interpretati con grande naturalezza dagli attori) e sulla loro evoluzione. Tutto si muove in funzione della relazione tra i due, opposti e complementari.
Uno ha le idee chiare sul suo futuro e vuole sposarsi, avere tre figli e fare il cantante rap, l’altra ha accantonato il suo amore giovanile per la comicità e segue le convenzioni che la società le impone.
In questo racconto di formazione i protagonisti riescono a donarsi reciprocamente degli strumenti di crescita, degli insegnamenti volti ad affrontare il domani con meno paura e più coraggio.
La sceneggiatura (firmata dalla stessa Scarano con Sofia Assirelli e Tieta Madia) non si perde nel qualunquismo in cui era facile incappare, non affronta il tema dell’autismo con pietismo e genera una forte empatia tra lo spettatore e la coppia, trattando con garbo un argomento piuttosto delicato.
Le scelte visive sono studiatissime: la scenografia di Andrea Castorina cura con attenzione, ad esempio, gli impercettibili dettagli della villetta riminese e la fotografia di Valerio Azzali ci rimanda, con dei toni tenui, alle produzioni indipendenti americane. Il mare d’inverno va a coadiuvare questi aspetti, scandendo diversi momenti della vicenda e conferendo alle immagini quello stato nostalgico proprio della riviera deserta, senza ombrelloni e con un clima ancora rigido.
Vengono esplorati gli elementi di un’epoca che si nutre del terrore del fallimento e della riverenza verso costrutti sociali che non hanno ragione di esistere. Entriamo nelle stanze di una famiglia caotica, in cui ci si riunisce a tavola a ora di cena guardando Un posto al sole (omaggio della regista, che ha esordito come attrice proprio nella soap napoletana), in cui è difficile dare ascolto agli altri e le paure di ogni componente si introducono in punta di piedi in un salotto troppo affollato.
“Secondo te ce l’ho fatta a diventare adulto?”, la domanda che pone Omar a sua sorella è un quesito generazionale, che non trova risposta in nessuno. Acquistare una casa o trovare un lavoro sono azioni che non comportano necessariamente soddisfazione, spesso crescere significa capire in cosa consiste la propria felicità.
Chi l’ha detto che solo i bambini sognano? Di solito non dimentichiamo chi siamo, ma spesso ci lasciamo alle spalle chi volevamo essere, dando per scontato che la realtà non sarà mai in grado aderire alle nostre passioni, che il mondo di tutti i giorni ci chiederà sempre di adeguarci. Vivere da grandi forse vuol dire anche non rinunciare a tutte le parti di noi, farle salire su un palco a gridare che “ci vuole orecchio”.

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