Bastarden – La terra promessa è l’ultimo film del regista danese Nikolaj Arcel, presentato all’80esima mostra internazionale dell’arte cinematografica di Venezia. L’opera si presenta diversa dal resto della sua produzione, come il regista stesso dichiara: costituisce infatti un bilancio della propria vita e carriera, posto sul piano esistenziale. Dopo essere diventato padre Arcel aveva avuto modo di ragionare sul suo atteggiamento nei confronti del lavoro, atto sempre a realizzare una narrazione artistica ma senza mai scendere più in profondità. Bastarden ha come fulcro quindi il concetto dell’ambizione, nella sua grandezza come nei suoi lati negatitivi.
Nel 1755 il capitano Ludwig Kahlen si prefissa l’obiettivo di bonificare delle aride terre danesi, per potervi costruire una colonia delle terre del re. L’impresa, purtroppo, si rivela ardua già in partenza. I funzionari del sovrano infatti concedono l’autorizzazione a Kahlen convinti del suo imminente fallimento.
Il capitano non si trova a sfidare solo un ambiente ostile all’agricoltura, ma dovrà far fronte anche a dispetti di svariato tipo da parte dei latifondisti della zona, infastiditi da una presenza estranea in quelle che reputano le loro terre. In particolare il ricco Frederik de Schinkel userà qualsiasi mezzo a sua disposizione per ostacolare la missione del protagonista, compresi atti spietati su civili innocenti.
Lo stoicismo con cui Kahlen affronta le sfide che gli si propongono è esemplare, ma pur portandolo a realizzare il suo desiderio lo pone davanti a perdite molto gravi. Dietro il suo comportamento quasi ossessivo c’è però una ragione: egli infatti è di estrazione bassa, con una madre domestica e un padre che non lo aveva riconosciuto. Dopo 25 lunghi anni era riuscito ad ottenere una carica, bramando la frequentazione di ambienti nobiliari. Il mezzo per far parte del rango desiderato sarebbe stato la nomina a nobile, capo della colonia da lui fondata.
Lo sguardo intenso e carico di emozioni di Mikkelsen, in una delle ultime scene del film, esprime il conflitto interiore di un uomo che dopo aver sacrificato la propria vita per realizzare un obiettivo, si chiede se il prezzo pagato ne valesse davvero la pena. In questa performance di Mikkelsen, come in quasi tutte le sue altre, il silenzio è veicolo di significati molto più di quanto le parole potrebbero esprimere. La maggior parte delle volte in cui si trova a dover ricostruire da capo qualcosa che gli è stato tolto, o viene posto dinanzi a un ricatto, il capitano Kahlen non parla quasi mai. È il suo viso a parlare per lui, a raccontare i pensieri che si stanno articolando nella sua mente e le sue valutazioni sulla situazione.
Ma queste microespressioni sono quasi impercettibili, nascoste dietro una maschera immobile e ieratica, conscia che retrocedere di un passo, davanti ai potenti, significhi perdere tutto. Bastarden racchiude lo spirito scandinavo e abbraccia una narrazione sugli uomini del nord che li dipinge freddi, riservati e votati al sacrificio; capaci di accettare la sofferenza e rispondervi con la quiete.
Una bellissima canzone di un artista norvegese recita:
People in Northern Europe since medieval times
We find it hard to deal with when our dreams come true
As if happiness exists in the world at a fixed amount
And if you feel up, somebody somewhere else feels down
(1517 -The whitest boy alive)
Questo sentimento è ben presente nei film di Joachim Trier, o nelle opere del suo più famoso parente Lars Von; in capolavori come Il sospetto di Thomas Vinterberg, in cui possiamo tra l’altro vedere sempre Mads come protagonista. E lo vediamo anche in Bastarden, accompagnato però da un’intensa quanto nascosta volontà di stare bene.
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