Sulla (non) necessità dei live action
Trentaquattro anni fa, l’uscita de La Sirenetta (John Musker, Ron Clements), adattamento molto libero della fiaba di Hans Christian Andersen, segnava per la Disney l’inizio di un’epoca di rinascita dopo la morte del proprio creatore, il cosiddetto “Rinascimento”, portatore di una serie di successi di pubblico e critica. La riproposizione live action di questo classico, uscito da poco nelle nostre sale, difficilmente porterà ad una seconda rinascita. Questo La sirenetta si inserisce infatti nella lunga lista di scialbe riproposizioni che la Disney ci ha propinato negli ultimi anni.
L’esistenza di tali adattamenti facenti leva sul fattore nostalgia dimostra una certa e preoccupante sfiducia in primis verso la narrazione di storie nuove e originali, e in secondo luogo un deprimente svilimento del comparto d’animazione all’interno della Disney a favore del live action, in un momento storico in cui si sta tentando di utilizzare il mezzo (non genere) dell’animazione per narrare storie adatte ad adulti e bambini con temi importanti (si pensi solo ai recenti Pinocchio di Guillermo del Toro o Il gatto con gli stivali 2). Tuttavia in generale risulta abbastanza evidente che l’unico vero motore alle spalle di tali operazioni sia il potenziale guadagno. Purtuttavia, vista l’aura di scontento e di controversia che circonda La sirenetta da ben prima che uscisse, va riconosciuto al regista Rob Marshall di aver quantomeno creato un prodotto nella media, perfettamente mercificabile e aderente al brand Disney, con alcuni elementi di interesse.
Molto rumore per nulla…
C’era stato modo di verificarlo già ascoltando la colonna sonora, e vedere il film ha confermato questa opinione: la scelta di Halle Bailey nella parte della protagonista, lungi dall’essere dettata dal “politicamente corretto”, ha assolutamente ragione di essere. L’attrice infatti non solo ha una meravigliosa voce (prerequisito fondamentale per una giovane sirena), ma incarna anche molto bene l’entusiasmo, la curiosità e lo spirito avventuroso e ribelle della principessa del classico d’animazione. Buono il lavoro svolto nel doppiaggio italiano delle canzoni dalla cantante Yana_C, la cui limpidezza vocale, tuttavia, non tiene sempre il passo con le emozioni che Bailey trasmette. Ottima anche la chimica col protagonista maschile, il principe Eric, interpretato da Jonah Hauer-King. È evidente che l’intento, nel riprendere adesso questa coppia con questi due attori, sia di espandere il discorso, già avviato nel classico d’animazione, di convivenza e contaminazione culturale tra mondi diversi.
Come è per certe produzioni moderne ad alto budget, diversi messaggi di questo tipo (non solo il richiamo all’interculturalità ma anche quello ecologista) vengono chiaramente esplicitati nel corso del film, quando così non era nel film d’animazione, in cui pure certi elementi si potevano inferire. Trattasi di sottovalutazione della capacità di analisi dello spettatore moderno o di una paura fondata che il pubblico possa male interpretare ciò che non gli viene chiaramente detto?
Giuste lodi ha ricevuto anche Melissa McCarthy nella parte di Ursula. Il personaggio, pur dotato di un minutaggio abbastanza ridotto e di una presenza scenica meno stravagante rispetto alla controparte animata (un tentativo di rendere più “kid friendly” il personaggio, che prendeva ispirazione dalla drag queen Divine?), è più approfondito nelle sue motivazioni. Il doppiaggio italiano del personaggio vanta poi, nel ruolo, Simona Patitucci, che nel classico d’animazione dava voce ad Ariel. Patitucci sembra divertirsi da matti nel ruolo, rendendo il personaggio molto intrattenente. Il resto del cast, da Javier Bardem nel ruolo del severo Tritone, al già citato Hauer-King fino a Jessica Alexander nel breve ruolo di Vanessa (controparte umana di Ursula), svolge bene il proprio lavoro.
Infine, la regia di Marshall, anche se estremamente blanda e in linea con una sorta di generico look assunto da quasi tutti i live action Disney, regala qualche guizzo creativo, specialmente nella prima parte. Da segnalare, poi, che la luminosità finale delle immagini risulta superiore rispetto a quella che si poteva immaginare vedendo i trailer rilasciati online.
… ma poca sostanza
Purtroppo, non bastano alcuni punti luce a rendere La sirenetta un buon film.
La CGI marina e il design dei personaggi animali non convince mai del tutto (un difetto tanto più notevole se si tiene conto delle recenti lamentele degli artisti VFX presso la Disney). Le canzoni nuove, con musiche di Alan Menken e testi di Lin-Manuel Miranda, non si miscelano bene alle vecchie, le quali poi soffrono una mancanza di intensità a causa delle nuove orchestrazioni.
Un difetto, quello della mancanza di gravitas, presente anche in diverse scene riprese dal classico d’animazione, specialmente nei momenti tra Ariel e Tritone. Ciò va a ridurre il tema del confronto generazionale, che pure all’interno di un film uscito in questo contesto socio-storico sarebbe risultato estremamente appropriato. Molto ridotta è anche la portata e l’intensità dei rapporti tra i personaggi “umani” e quelli animali, difetto che non solo rende la scelta finale di Ariel di restare sulla terra meno dura ma che non spiega, se non è stato prima visto il film d’animazione, la trasformazione finale di Ursula.
Altre scene soffrono di questa stessa mancanza di contesto senza la visione del corrispettivo animato, fatto che avvalora la tesi che si tratti di un prodotto rivolto a un pubblico che ha già visto l’originale. Ne è un esempio la sequenza di In fondo al mar, che perde totalmente la sua funzione narrativa, oltre che il proprio senso (perché Sebastian parla di musica e degli strumenti suonati dai pesci, se nessuna creatura marina, nel corso di tutto film e tantomeno allora, suona?). L’impressione finale è quella di scene inserite come tappa obbligata nella riproposizione del classico, non come momenti dotati di una propria importanza all’interno di questa specifica narrazione.
Il doppiaggio italiano di Sebastian, affidato a Mahmood (scelta accompagnata da giuste critiche attorno allo spazio privilegiato fornito ai talent nell’ambiente del doppiaggio), non risulta mai davvero convincente, ma quantomeno ci regala almeno una buona canzone, ovvero la sua versione di Baciala.
Infine, il tentativo di rendere più “moderna” la storia del classico d’animazione e dare più indipendenza ad Ariel sortisce spesso l’effetto contrario. La protagonista è più volte sballottata dagli eventi e incapace di controllo, con le persone che la circondano che mettono in moto l’azione per lei. Dove, poi, nel corrispettivo d’animazione i suoi errori venivano giustificati a causa della giovane età e l’intensità dell’innamoramento adolescenziale, qui si dimostra spesso sin troppo matura, e ciò cozza coi suoi ripetuti errori di giudizio.
Il voler a tutti i costi correggere difetti inesistenti, prodotti da un’interpretazione semplicistica e propagati da un altrettanto semplicistico strumento quale è Internet (non è vero che, nel classico Disney, Ariel abbandona la propria vita solo per amore di un uomo), ha portato purtroppo a perdere la complessità e la modernità del prodotto originale, che anche oggi, nonostante i 34 anni di età e la durata ridotta di meno di un’ora e mezza, è sotto certi aspetti più ricco di sfumature del nuovo.
Tirando le somme, questo remake de La sirenetta è, una volta archiviati tutti i contenziosi sollevati, un prodotto in cui temi e scene iconiche del classico originale risultano alquanto annacquati, mai del tutto realistico nella resa visiva, ma in fin dei conti decente. Più nello specifico, l’ennesimo prodotto decente all’interno di una catena di montaggio specializzata in prodotti decenti.

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