“Revenge, I want it. I need it.” – si apre così, in medias res, la quarta stagione de La fantastica signora Maisel, portando con sé grandi aspettative, soprattutto vista l’acclamazione da parte della critica che aveva raccolto finora. Vincitrice di un Golden Globe come miglior serie commedia nel 2018, dal 18 febbraio è disponibile su Prime Video con otto nuovi episodi, questa volta rilasciati al ritmo di due alla settimana, strategia che la piattaforma ha recentemente iniziato ad adottare, recuperando una consuetudine tipica del palinsesto televisivo tradizionale e che sembrava ormai data per moribonda nell’era del binge watching.

Protagonista della serie è Miriam “Midge” Maisel, interpretata da Rachel Brosnahan, una casalinga ebrea che vive a New York alla fine degli anni ‘50 e il cui marito accarezza il sogno di diventare uno stand up comedian, ma con scarsissimo successo. Dopo essere stata lasciata dal marito, si esibisce da ubriaca e scopre di essere proprio lei quella con il vero talento tra i due. A partire da questo momento, e grazie al sostegno di Susie, la sua improvvisata manager, si addentrerà nel mondo della comicità e dello spettacolo, grandemente sessista e dominato dagli uomini, specialmente in quegli anni. 

Complice la pausa pandemica, la serie è rimasta ferma per quasi tre anni e riprende ora la vicenda esattamente dal punto in cui l’avevamo lasciata: allo spettatore è richiesto di recuperare informazioni senza il minimo aiuto da parte della scrittura, che – lungi dal voler fornire gli spiegoni tipici della serialità più tradizionale – avrebbe potuto recuperare almeno alcune di queste modalità per riprendere il filo degli eventi con lo spettatore, che ci mette un po’ di tempo a riorientarsi nella vicenda. Questo è il primo difetto che contribuisce a rendere questa quarta stagione sottotono rispetto alle precedenti, molto acclamate dalla critica. Lo stile è sempre quell’interessante unione del tipico umorismo ebraico newyorkese fra Woody Allen e Seinfeld, con molti elementi della screwball comedy hollywoodiana classica che non provocano mai la risata sguaiata e immediata, ma si configurano più come un tono generale con pochi momenti di vera ilarità, e un ritmo che dipende dal bilanciamento con alcuni elementi dal tono più drammatico. Proprio questo equilibrio sembra mancare a questa prima metà di quarta stagione, che sorvola sugli snodi problematici solo attraverso la gag comica, che passa così quasi inosservata. La qualità generale è sempre molto alta, anche su tanti altri livelli – dalla fotografia alle scelte registiche, sempre più cinematografiche –, ma questa serie non si meritava di diventare uno di quei tanti prodotti da ascoltare in sottofondo, a discapito dagli alti valori produttivi. 

Un altro elemento critico è il fatto che, con questa nuova stagione, la serie non sembra aver sviluppato al meglio il potenziale, anche politico, che poteva avere all’inizio. Uscita in origine in concomitanza con l’emergere del movimento Me TooLa fantastica signora Maisel ha sempre trattato, in maniera sottile e acutamente trasfigurata dalla narrazione, il ruolo e il trattamento delle donne nel mondo dello spettacolo, ma qui sembra aver perso la sua carica, la sua problematicità e le sue sfumature, relegando questo tipo di discorso, di nuovo, a semplici pezzi di comicità in cui gli uomini vengono sì rimessi al loro posto, ma in maniera per lo più semplicista –  come ad esempio il momento in cui il capo viene cacciato dal camerino dello strip club in cui la protagonista è finita a lavorare.

Un difetto comune a molte serie contemporanee, che, per mancanza di un meccanismo serializzante forte, fluttuano in maniera molto più incostante di un tempo fra alti picchi creativi e momenti in cui sembrano perdere ritmo e slancio, e in questo caso anche il senso di quello che si sta raccontando. Lo spettatore, per quanto oggi evoluto perché costantemente esposto a testi audiovisivi, continua ad avere bisogno di essere guidato, e ormai può riporre la sua fiducia in un numero davvero molto ristretto di personali serie di culto da seguire assiduamente con piacere e per le quali è disposto a investire tempo e perdonare errori e momenti morti. In tutti gli altri casi deve essere guidato nella comprensione, così come nella presentazione delle situazioni, e molte serie della cosiddetta quality tv –  che rigettano per partito preso questo modo di fare, come se la televisione fosse di qualità solo quando rigetta le sue stesse caratteristiche – dovrebbero valutare se possono permettersi di andare avanti per due o tre episodi da un’ora ciascuno prima di dare allo spettatore la possibilità di orientarsi e di comprendere verso dove tende la narrazione. La fantastica signora Maisel, pur rimanendo un’ottima serie, sembra aver sviluppato questo tipo di presunzione, forse senza potersela davvero permettere. 

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Giovanni Atzeni, Redattore