“Stop! He’s already dead!” Mai come in questo caso I Simpsons sembrano aver racchiuso, in una semplice battuta, la tremenda e confusa situazione del SSU (Sony Spiderman Universe), ovvero il maldestro tentativo di casa Sony di creare, sull’onda – dell’allora – estremamente di successo MCU, un proprio universo condiviso composto da pellicole costruite attorno alla figura di Spiderman. La prima problematica – che può facilmente essere identificata anche come la più grande – è stata innanzitutto la mancanza di Spiderman stesso, imbrigliato dopo l’insuccesso dei due The Amazing Spiderman diretti da Marc Webb (2012, 2014) ad una collaborazione con i Marvel Studios per una partecipazione del personaggio, ora interpretato da Tom Holland, ad un pacchetto di pellicole appartenenti all’MCU. La soluzione sembra quindi arrivare dal “fare di necessità virtù”, prendendo una pellicola con protagonista Venom in gestazione da anni – e di (apparentemente) grande interesse per i CEO di Sony – rendendola apripista del loro universo: con un incasso di otto volte il budget, sembrava che avessero fatto la scelta giusta (tralasciando però le forti critiche che piovvero sulla pellicola diretta da Ruben Fleischer da parte della critica specializzata, che bocciò aspramente il film).
Così l’apparente soluzione costruì il secondo grande problema del SSU: non potendo avere Spiderman, decisero di puntare tutto sui villain che poi, un giorno lontano, si sarebbero riuniti per affrontare finalmente l’arrampicamuri. Un’impresa già di per sé complicata divenne in breve tempo l’esempio lamapante di “tenere il piede in due scarpe”, perché da un lato si cerca di conquistare i fan con le promesse di vedere sullo schermo i loro villain preferiti (ad esclusione di El Muerto, che difficilmente rientra in questa cerchia) mentre dall’altro si vuole attirare la fetta più grande di pubblico e, in quel preciso momento storico, il modello per eccellenza era soltanto uno: Deadpool. Arrivano così una serie di personaggi – di cui Venom già fa parte – completamente riscritti, lontani (chi più chi meno) dalla loro controparte cartacea per diventare degli “anti-eroi”, chiassosi, irruenti e dalla battuta facile ma capaci, nel momento del bisogno, di non porsi delle regole per raggiungere il proprio obiettivo. Insomma, i classici “cattivi ma non troppo”.
A poco serve quindi soffermarsi sui chiassosissimi flop delle successive pellicole, sia i due sequel di Venom sia i tentativi di introdurre altri personaggi come Morbius o Madame Web. Problemi produttivi da un lato e una pessima realizzazione (soprattutto narrativa) delle pellicole dall’altro hanno portato in questi giorni all’ufficializzazione del fallimento del SSU e della sua (momentanea) chiusura. In tutto questo oggi, 13 dicembre, negli USA arriva Kraven: Il cacciatore, pellicola lapidaria quindi del loro progetto arrivata nella nostra penisola – miracolosamente – con due giorni d’anticipo, potendo quindi dire che, come finale, poteva andare decisamente peggio.
When the mid comes around
Dopo una sequenza iniziale, di all’incirca dieci minuti, nella quale vediamo Sergei “Kraven” Kravinoff (Aaron Taylor-Johnson) portare a termine una sua “battuta di caccia” nei confronti di un boss del narcotraffico in una colonia penale russa, si viene poi catapultati in un lunghissimo (e anti-climatico) flashback per mostrare il difficile rapporto di Sergei con il padre (Russell Crowe), l’amore per il fratello Dimitri e il successivo ottenimento di non-meglio-precisati poteri grazie all’intervento della giovane Calypso, oltre che a introdurre, con una velocità disarmante, il futuro villain delle vicende Aleksei (aka Rhino, qui interpretato da Alessandro Nivola).
Tornati al presente, la pellicola procede costruendo per la totalità di due (facilmente riducili) ore un racconto che cerca di essere più cose contemporaneamente: la riscrittura completa di Kraven lo porta ad essere da cacciatore senza scrupoli a giustiziere che usa le sue abilità sovrumane senza paura di sporcarsi le mani (avvicinandolo molto più alla figura di The Punisher, volendo rimanere in casa Marvel) protagonista quindi di diverse sequenze movimentate tra scazzottate, scontri con armi improvvisate e inseguimenti con corse e arrampicate, tutti completamente senza alcuna regola o limite pur di mettere in scena l’azione più sfrenata e sregolata. Al tempo stesso il racconto sembra voler inserire anche un forte elemento crime, con una faida tra famiglie criminali in pieno atto che si combatte a suon di sparatorie nei locali, esecuzioni in aree portuali deserte e la costruzione di eserciti per poter conquistare i territori altrui.
A tutto questo si unisce la volontà di costruire momenti drammatici, soprattutto legati al rapporto tra i Kravinoff con un padre possessivo e ossessionato dal voler crescere i figli “da veri uomini”, un Sergei volenteroso di staccarsi dal passato ma ancora legato al fratello Dimitri, che a sua volta cerca costantemente l’apprezzamento del padre: il tutto forma un triangolo che avrebbe la possibilità di mettere in scena dinamiche interessanti, ma che si sgretola completamente scontrandosi con la sopracitata azione sregolata e con l’inserimento di momenti forzatamente comici che, seppur nel loro essere completamente banali funzionano, distruggono l’atmosfera anche quando questa dovrebbe essere estremamente seria.
Dumb nonsensical fun
Volendo concludere il discorso sugli elementi problematici del film si inserisce a gamba tesa la cgi, qui davvero sottotono nella messa in scena sia degli elementi più realistici, come gli animali, sia di quelli più fantastici, su tutti un Rhino trasformato ben poco convincente e alcune animazioni di Kraven che ricordano in maniera eccessiva la qualità di un videogame di qualche generazione fa. A tutto questo si aggiunge il sangue, grande assente delle pellicole precedenti inserito qui chiaramente in fase di post-produzione probabilmente con lo scopo di acchiappare, in fin di vita, qualche consenso in più soprattutto durante la campagna marketing ma che si rivela presente in maniera talmente irrisoria da risultare quasi fuori luogo quando aggiunto.
Volendo invece girare la medaglia, bisogna ammettere che qualche freccia al suo arco Kraven sembra di fatto averla: su tutti la regia – mai punto di forza di questo universo narrativo –, qui affidata a J.C. Chandor, nonostante non faccia certo gridare al miracolo riesce comunque a giocare in maniera interessante con le varie sequenze d’azione, sempre chiare e tutto sommato anche divertenti proprio grazie al loro essere estremamente eccessive. Si aggiunge poi la vera ancora del film, manifesta nella presenza di Aaron Taylor-Johnson come protagonista: reduce da ruoli in commedie d’azione come Bullet Train o The Fall Guy – e in attesa del suo, diversissimo, ruolo nel vicino Nosferatu di Robert Eggers – l’attore inglese impiega grande sforzo nel cercare di donare carattere e una forte presenza scenica al suo personaggio, riuscendo a portare a casa un buon risultato minato inevitabilmente da una scrittura che lo imbriglia in battute piuttosto mediocri e risvolti narrativi poco convincenti. Ad affiancarlo c’è un cast di personaggi secondari appena accennati, che non riescono mai a guadagnare il giusto spazio nelle vicende, nemmeno se a interpretarli si presentano nomi come Russell Crowe, Ariana DeBose e Fred Hechinger, il cui unico interesse sembra essere quello di accennare qualche personaggio semi-sconosciuto dei fumetti; stesso discorso si applica, forse in maniera ancora più problematica, ai due villain, con un Alessandro Nivola sprecatissimo per un Rhino poco più che macchietta e un Christopher Abbott nei panni dello Straniero, villain poco conosciuto e poco approfondito, che gode di un minimo di interesse solo grazie alla forte presenza scenica di Abbott.
Conclusioni
Con Kraven: Il cacciatore si chiude momentaneamente il fallimentare Sony Spiderman Universe, trascinatosi fino ad oggi attraverso pellicole tutt’altro che di successo in bilico tra il pessimo e il mediocre. In questo panorama, la pellicola diretta da J.C. Chandor riesce a dimostrarsi superiore soprattutto grazie a una buona gestione di quest’ultimo delle sequenze d’azione e una prova tutto sommato convincente da parte di Aaron Taylor-Johnson nei panni del protagonista. A spezzare l’incantesimo ci pensa però una sceneggiatura decisamente confusa che finisce per minare anche le buone prove attoriali di un cast tutt’altro che mediocre e una cgi davvero inaccettabile per un prodotto di questo tipo in uscita in questo periodo storico (visto anche il budget tutt’altro che irrisorio).
Una chiusura quindi abbastanza tiepida e dimenticabile, che ricorda molto da vicino quanto avvenuto con Aquaman e il regno perduto, che porta con sé l’inevitabile, sempre più pressante, domanda: è questa forse la fine degli universi condivisi? Purtroppo, non ancora.
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