Dopo cinque anni dal film Leone d’oro, Joker, Todd Phillips torna in concorso a Venezia per l’81ª Mostra internazionale d’arte cinematografica con il secondo capitolo Joker – Folie à Deux. Partiamo da una precisazione: le follie a due del titolo non sono, come molti potevano aspettarsi, quelle di Lady Gaga e di Joaquin Phoenix, ma si riferiscono al rapporto dualistico fra Arthur Fleck e Joker. Il film non parla infatti né di relazioni tossiche, né di seconde insurrezioni popolari guidate dalla coppia Joker-Harley Queen, perché non esiste (più) nessun Joker, e nemmeno alcuna Harley Quinn. Nel film vediamo il lato umano dei personaggi, pertanto quello di Lady Gaga porta il suo vero nome, Harleen Quinzel, e incontra Arthur Fleck due anni dopo l’omicidio di Murray Franklin in diretta televisiva mentre Arthur è internato nel carcere psichiatrico di Arkham, con una pena di morte che rischia di piombare su di lui. Il titolo quindi si riferisce, in realtà, a una delle prove principali che l’avvocato dell’imputato protagonista tenta di portare in tribunale, ossia la scissione di personalità tra Arthur e il ‘fu Joker’. Perché lo ripetiamo, Joker non c’è più. Non esiste. È morto. Dopo che di lui è stato fatto addirittura un film (nel film) che proietta quanto visto nel primo capitolo direttamente nell’universo di Fleck. Non si tratta del bellissimo cortometraggio animato con cui si apre questo secondo capitolo (e che faceva presagire un film di tutt’altra caratura), ma della narrativizzazione delle gesta del pazzoide rivoluzionario che hanno reso Joker un fenomeno di massa sia nel mondo del film che nel nostro. Con questo presupposto, Todd Phillips si è posto una domanda: è giusto che il mio primo film sia diventato un fenomeno di massa? Come può il pubblico aver preso la psicopatologia come modello rivoluzionario? In altre parole, il regista sembra dirci: al diavolo il cinema popolare, il pubblico non conta niente, anzi, semmai il pubblico sbaglia, o almeno ha sbagliato.
Arthur Fleck in una delle prime scene del film
Quello di Phillips potrebbe essere visto come un gesto romantico, Frankenstein che uccide la sua creatura sfuggita al controllo, Geppetto che riduce in pezzi di legno il suo burattino impazzito, ma il film ha il fiato troppo corto per poter reggere il peso di un tale discorso metacinematografico. Anche perché, a ben vedere, una volta partorito il primo Joker, un tale ragionamento può solo portare a diverse contraddizioni di fondo che rinnegano quanto fatto nel primo film. All’uscita al cinema, Joker era stato giustamente apprezzato per il suo innesto in un cinema pop, con una trama lineare, già vista a partire dalla New Hollywood in avanti, ma che messa al servizio dell’interpretazione di Phoenix riusciva a offrirci una reinterpretazione interessante dell’icona DC che aveva il suo maggior pregio nell’abbracciare la semplicità. Cinema popolare di buon livello che coglieva nel segno qualsiasi tipo di spettatore, dove tutto il sottotesto giaceva nell’identificazione del pubblico con un uomo comune vessato dal sistema e poi riemerso dal disagio per innescare una rivoluzione che coinvolgeva tutti gli abitanti di Gotham, segnando un’epoca fatta di ribellione al sistema.
Folie à Deux allora distrugge in toto il simbolo, fa cadere la maschera, annichilisce il discorso compiuto nel capitolo precedente e si rimangia ogni parola rivolgendosi direttamente a noi: Phillips vorrebbe attaccare l’idolatria tutta contemporanea per il mostro, il morbo per il serial killer dell’epoca che ha fatto del true crime il nuovo denaro liquido della cultura audiovisiva (Dahmer et similia). Ma non è stato lui stesso partecipe (e nemmeno in piccola parte, visto il miliardo di dollari d’incasso) della stessa cultura che ora attacca? Se così non fosse, allora non potrebbe stare in piedi il discorso messo in piedi nel primo capitolo, dove la ricerca dell’afflato pop comportava l’utilizzo di una scrittura monodirezionale e funzionale (per l’appunto) solo ed esclusivamente alla nostra identificazione con Arthur Fleck, dal primo al centoventunesimo minuto. In Folie à Deux l’uccisione del marchio-Joker non passa solo attraverso lo spoglio simbolico dell’icona ma anche attraverso quella del suo (nostro) immaginario di riferimento, come quella scalinata diventata celebre tanto quanto il balletto eseguito da Phoenix sui suoi gradini, ora messa in scena per un breve momento e unicamente per la sua definitiva desacralizzazione. È curioso quindi che un film rivolto contro il potere immaginifico dell’immedesimazione cinematografica cerchi di sfruttare a sua volta il genere che, in questo esatto senso, richiede più sforzo, quello del musical, non a caso il genere più bistrattato, tanto da costringere Phillips a negare la natura musicale del film come manovra promozionale.
Harleen Quinzel sull’ormai celebre scalinata del primo film
Il film innesta il musical con un senso cinematografico affascinante in partenza, facendo crescere la struttura coreografica dei duetti con Harleen Quinzel di pari passo con la riemersione del lato malato di Arthur, legando quindi l’intensità immaginaria delle danze a quella del suo stato d’alienazione. Di qui sorgono altri due problemi chiave: il primo è la sua idea scarna, per non dire scialba, di musical, dove i brevissimi sipari su cui scorrono le note di Bewitched, Bothered and Bewildered, Sweet Charity, To Love Somebody e tante altre canzoni della tradizione musicale non hanno nulla della potenza travolgente e coinvolgente che dovrebbe avere un musical. Phillips sembra così dirci che i tralicci delle fondamenta del film non sono costituiti dall’anima musicale ma dal carattere intimista del protagonista, tuttavia le due dimensioni invece che intrecciarsi fluidamente si alternano con stacchi netti di montaggio (a cui è prestata ben poca cura), depotenziando qualsiasi tentativo di trasporto emotivo e dando vita a dinamiche meccaniche e farraginose. Dall’altra parte la dimensione reale si sviluppa in un procedural dalla trama eufemisticamente striminzita, in cui l’indagine della scissione di Arthur nel suo lato umano e in quello psicopatico sono ribadite (nel senso letterale del termine) in una parte centrale ambientata in tribunale che fatica ad arrancare, solo per giungere a un epilogo che nega la morale finale del primo film e che rende Folie à Deux una piccola appendice del film di cinque anni fa. Questo è un macigno che grava sul risultato finale, perché non solo i due livelli non si mescolano armoniosamente, ma sono entrambi mal costruiti.
Uno dei sipari musicali
Il secondo problema legato al carattere musicale del film è il proverbiale elefante nella stanza citato solo di striscio, Harleen “Lee” Quinzel: di ricca famiglia, è una dei tanti seguaci psicotici di Joker che cinque anni fa incendiavano le strade di Gotham. Dopo essersi fatta volontariamente internare nel carcere psichiatrico conosce il suo idolo durante una lezione di musica e fra i due scoppia l’amore (o un presunto tale), interrotto poi dal processo ai danni di Arthur. L’Harley di Phillips è una mera funzione col compito di portare avanti la psicologia del protagonista, permettendogli di metabolizzare la presa di coscienza dello sdoppiamento di personalità. Non c’è alcuna passione fra i due, non nascono mai le dinamiche proprie del musical, se non di sfuggita, rarissime volte, e con poco entusiasmo. Anche questo è un aspetto ricercato dal regista, che però non ci offre mai un contraltare che possa rendere vagamente interessante ciò che accade all’uno o all’altro personaggio.
Phillips abbandona quindi tutto l’impianto neo-hollywoodiano del primo film e cerca di intraprendere una via più libera dai canoni, con un musical d’autore (wanna-be) dallo sfondo metacinematografico che guarda il suo pubblico negli occhi con sguardo d’accusa. L’azzardo, però, è quello di un artista che vorrebbe passare dal teen pop all’hardcore punk, per restare in tema musicale, e oltre al rischio che il pubblico di riferimento (e in questo caso chiamato in causa) rigetti di netto la provocazione, c’è quello che al musicista non vengano bene entrambi i generi. Phillips sembra a suo agio col cinema popolare, ma per le provocazioni d’autore ha ancora tanta strada da macinare, Joker: Folie à Deux è qui ad attestarlo.
Il film uscirà nei cinema italiani il 2 ottobre 2024.
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