Se si è figli degli anni ’90 Keanu Reeves è un nome che risulta irrimediabilmente legato al franchise di Matrix ed al personaggio di Neo, giovane sbarbatello con i capelli all’insù, gli occhiali da sole ed il lungo cappotto nero e così è rimasto nell’immaginario collettivo per parecchi anni fino al 2014, quando con l’uscita di John Wick l’attore di origini canadesi si apprestava a mettere in scena l’icona dei film action del nuovo millennio: un uomo più anziano, con i capelli lunghi e la barba curata, un completo nero cucito su misura ed una pistola sempre nella fondina. Un look talmente iconico da riadattare in occasione di Matrix Resurrection il look dell’Eletto, con non poche critiche dai fan. A fare il successo del film diretto da Chad Stahelski – storico stuntman di Reeves già dai tempi di Matrix – e da David Leitch (che nominiamo anche se non accreditato ufficialmente) fu però l’uso che fecero di questo personaggio: un pensionato dalla vita tranquilla che si trasforma in un violentissimo ed inarrestabile one man army in seguito all’uccisione del proprio cane, donatogli dalla moglie poco prima di morire.
Un concept semplice, quasi grottesco ed eccessivo che portò ad un incasso di più del quadruplo del budget e che generò così un secondo capitolo nel 2017 ed un terzo nel 2019. Il successo non si apprestava certo a scendere, tanto da fissare per il maggio 2021 l’uscita di un quarto capitolo e di un quinto in un futuro prossimo. Causa pandemia globale si è dovuto però attendere il 2023 per osservare finalmente la continuazione delle vicende dell’assassino più ricercato del mondo.
Ciak, Azione!
Arrivati al quarto capitolo le regole dell’universo narrativo sono già state tutte definite, dalla Grande Tavola, alle taglie, ai ruoli dei Continental ed alle regole del “lavoro”. Siamo infatti ormai lontani dall’oculata costruzione delle vicende che avevano caratterizzato il primo capitolo e le pochissime sequenze prive di azione si inseriscono nel minutaggio per introdurre brevemente i nuovi personaggi come il Marchese Vincent De Gramont (Bill Skarsgård), principale villain della pellicola, il sicario cieco Caine (Donnie Yen) o Shimazu (Hiroyuki Sanada), vecchio amico di John e direttore del Continental di Osaka e per motivare gli spostamenti e le azioni svolte da John nel resto del film. Questo non significa, però, che le vicende raccontate ed i dialoghi che le animano non risultino entusiasmanti e non siano capaci di intrattenere a dovere lo spettatore, con momenti comici sapientemente dosati e sagaci scambi di battute tra i vari fronti che aiutano a rendere i personaggi meno macchiettistici e che aiutano lo spettatore ad empatizzare con loro.
Il villain di Skarsgård tutto sommato funziona anche se l’associazione con il villain del recente No Time To Die risulta lampante, non tanto per le similarità di carattere quanto per quella sensazione di occasione mancata che lasciano a visione conclusa; diverso è invece il parere verso il Caine di Donnie Yen che si piazza facilmente nel podio dei personaggi migliori del franchise senza troppa fatica, anche grazie al carisma che l’attore riesce a donare al suo personaggio sia nelle sequenze più movimentate – in cui la sua cecità viene sfruttata in maniera sopraffina senza mai scadere nella banalità – sia in quelle più tranquille, e per Mr Nobody (Shamier Anderson), misterioso assassino meno presente rispetto a Caine ma comunque ben caratterizzato e che presenta una forte impressione di personaggio che potrebbe venire approfondito in futuro.
I personaggi storici ricevono dal canto loro tutti una chiusura più o meno netta, dal Bowery King di Laurence Fishburne al Winston di Ian McShane passando per lo Charon del compianto Lance Reddick – che in maniera forse involontaria riceve un bellissimo e toccante congedo – fino al protagonista. Questa quarta pellicola si predispone infatti come conclusione delle disavventure dell’ex novo assassino, a differenza di quanto affermato in precedenza, permettendo così al film di arrivare alla conclusione del minutaggio in maniera completa, senza il bisogno di lasciare porte aperte per il futuro della saga ed evitando quindi quel senso di “inutilità” che sembrava permeare le vicende del terzo capitolo.
Omicidio a luci al neon
Come anticipato sopra, la quasi totalità dei 169 minuti di durata del film sono occupati da sequenze d’azione che possono facilmente essere ritenute tra le migliori della saga ed in maniera più ampia dei film d’azione degli ultimi anni. Capitolo dopo capitolo, la mano di Stahelski è migliorata a vista d’occhio e si dimostra capace di costruire, assieme al team di coreografi ed al direttore della fotografia Dan Lausten, combattimenti lunghi, articolati, ricchi di un’azione spettacolare ma sempre chiara – difficile trovare scavalcamenti di campo o tagli di montaggio fastidiosi – che riesce a proporsi sequenza dopo sequenza sempre in maniera differente, culminando verso finale in un piano sequenza all’interno di una vecchia chiesa abbandonata con uno stile di ripresa dall’alto che ricorda molto da vicino alcuni videogiochi come Metal Gear Solid o Hotline Miami. In questo Keanu Reeves gioca un ruolo fondamentale. Come Stallone è Rocky e Schwarzenegger è Terminator, Reeves è un tutt’uno con il personaggio ed è capace di donargli per il gran finale l’interpretazione migliore – soprattutto dal punto di vista fisico – di tutta la saga ed una conclusione più che degna.
È però difficile vedere l’universo creato con queste quattro pellicole come un cerchio giunto ora alla sua chiusura definitiva, quanto piuttosto come una spirale iniziata ben prima delle vicende del primo capitolo e che, conclusa la personale storia di John, presenta comunque un’estremità da cui è molto plausibile che prima o poi qualcuno decida di procedere. Sono infatti già in ballo da diversi anni le produzioni di Ballerina – con Ana De Armas come protagonista – e The Continental, entrambe serie tv prequel dei film con lo scopo di ampliare l’universo narrativo finora conosciuto, e la presenza di una scena post-credit porta a credere che le intenzioni di andare oltre ci siano tutte.
Conclusioni
Con John Wick 4 Stahelski, Reeves, il cast e tutto il team di lavorazione porta in sala il capitolo più ampio, potente e visivamente incredibile di tutta la saga, caratterizzato da sequenze d’azione mozzafiato che occupano la quasi totalità delle tre ore del film, questo in maniera sempre comunque nuova e visivamente interessante ma che inevitabilmente, allo stesso tempo, finisce per togliere spazio agli approfondimenti dei personaggi che in alcuni casi ne avrebbero particolarmente giovato. Non si toccano quindi le vette del primo capitolo ma ci si ritrova davanti ad una degna conclusione per John Wick, con l’impressione però che le varie porte non si siano del tutto chiuse in maniera definitiva.
Scrivi un commento