Béatrice Kordon aveva già trattato il tema della divinità e dell’origine del mondo in un lavoro precedente “Dithyrambe pour Dionysos” (2008), per poi dirigere Les insensés, fragments pour un passage (The Senseless) (2020). Immémorial, in concorso al Torino Film Festival nella sezione documentari, raccoglie anni di sperimentazione nel genere e nella creazione sonora. Si tratta di un documentario sulla morte, o meglio sull’esistenza stessa del fenomeno a cui abbiamo dato questo nome, e che qui è “la grande notte”. 

La riflessione inizia proprio dalle origini del fenomeno, con una versione della genesi che unisce al racconto biblico elementi comuni a molte mitologie: durante la grande notte gli dei decisero di rompere il silenzio creando la materia, con essa gli esseri umani, e dentro gli umani c’era la parola. È stato l’uomo poi, scoprendo la violenza attraverso l’omicidio di Abele, ad accorgersi che si può tornare indietro in qualunque momento. Il racconto religioso dell’esperienza umana finisce qui e lascerà il posto a una osservazione strettamente antropologica di tutti i modi in cui questo fenomeno esiste nel nostro presente, al pari del freddo o di altre caratteristiche del mondo. La morte non è trattata come un passaggio a qualcosa che esiste dopo, e nemmeno ci si pone la domanda se questo dopo esista, bensì come lo spunto per scoprire come in ogni cultura si sia tentato di entrarvi in contatto. 

La voce narrante alla fine della parte introduttiva chiede, direttamente agli spettatori: sapete se siamo all’inizio o alla fine? Da qui in poi non ci saranno commenti né dialoghi, il documentario è una raccolta di immagini, organizzate in sequenze ordinate, a prima vista come fosse un archivio qualunque. Questo non significa che non sia evidente che si tratta di un lavoro d’autore, ma la costruzione è mantenuta il più essenziale possibile. Béatrice Kordon lavora quasi esclusivamente con il suono e l’immagine per comporre quello che è di fatto un quadro e non una narrazione che si sposta nel tempo: un unico documento che racchiude più informazioni possibili sul tema, coerentemente con l’esperienza personale che l’autrice racconta di averne avuto: 

“La linearità del tempo e i contorni dello spazio gradualmente avevano perso le loro abituali caratteristiche, aprendomi a un mondo che sembrava essersi improvvisamente ampliato, allo stesso tempo sereno e caotico». 

Le quattro “canzoni” nelle quali è diviso sono quattro capitoli indipendenti. A turno ogni capitolo propone visioni notturne, da cui traspira un profondo senso di immobilità e sconforto, oppure documentazioni di feste di paese e riti con i quali la vita prosegue alla luce del sole. Ogni azione quotidiana continua ad essere compiuta anche in prossimità della morte, per le strade e nei cimiteri ma anche dentro le case. La raccolta di materiali d’archivio è molto ampia: assistiamo a processioni e feste di ogni tipo in svariati paesi dell’Europa, tra cui anche l’Italia. Gli unici momenti in cui si sentono voci umane sono quelli in cui qualcuno canta. La visione della morte come semplice caratteristica e non come mistero da comprendere è ribadita dal ruolo che gli esseri umani ricoprono quando interagiscono con la natura che li circonda: sia che si tratti di animali o di alberi abbattuti, sia che si stia raccontando la distruzione portata dalla guerra tra uomini, non emerge mai un tono d’accusa. La scoperta che l’uomo ha fatto all’inizio della sua storia con la violenza tra Caino e Abele non viene trattata diversamente dalla valanga che soffoca il bosco, anzi, l’unica differenza che la nostra specie sembra poter vantare rispetto ad altre è questa capacità di raccontarsi a cui stiamo assistendo. 

La coesione è sicuramente uno degli elementi di forza del documentario: la quantità di lingue diverse che si susseguono, senza che appaia mai un riferimento geografico o temporale sullo schermo, restituiscono paradossalmente una sensazione di grande unità, perché la differenza di suoni è perfettamente bilanciata dalle similitudini tra le immagini. L’altro elemento di coesione è dato dalle parti dedicate alla natura la quale, a differenza delle lingue umane, non cambia attraverso le epoche e i paesi. I rumori dell’acqua e degli animali accompagnano costantemente lo spettatore, a volte attraverso il buio, altre volte insieme a scene dal tono epico di disastri naturali. La scelta di non includere alcun tipo di dialogo, per quanto funzionale alle intenzioni dell’autrice, pesa sul ritmo, a causa anche del minutaggio un po’ troppo elevato per la quantità di contenuti. 

Federica Rossi,
Redattrice.