Produrre un suo personale Trono di Spade è stato un chiodo fisso di Amazon Studios per anni: il genere affascina il grande pubblico da sempre, e la serie di HBO tratta dai romanzi di George R. R. Martin ha dimostrato come giocare con le regole del fantasy potesse produrre un fenomeno mediatico senza precedenti.

E se, fino a questo momento, il fantasy made by Amazon non ha avuto grande fortuna tra serie high-concept di poco mordente (Carnival Row) e mediocri adattamenti letterari (La ruota del tempo), la compagnia di produzione ha deciso di puntare altissimo e tornare alle origini di tutto il genere con la saga de Il Signore degli Anelli.

Ma non ce ne vogliano i puristi di Tolkien: l’opera che di fatto ha fondato il fantasy moderno e uno dei capisaldi della letteratura fantastica mondiale ha conosciuto una seconda e più popolare giovinezza grazie alla trilogia di Peter Jackson, opera cinematografica che ha alzato per sempre l’asticella dello standard delle produzioni cinematografiche.

La sfida che Amazon Studios e la coppia di showrunners J. D. Payne e Patrick McKay hanno raccolto con Gli Anelli del Potere era tra le più ardue, non solo per il confronto con il materiale letterario di partenza ma anche per quello inevitabile con il suo illustre predecessore cinematografico. Dovendo reintrodurre milioni di spettatori alla Terra di Mezzo, quale sarebbe stato l’approccio migliore Reinventare tutto e rischiare oppure andare nel sicuro e inserirsi nella scia di Jackson? A giudicare dai primi due episodi, la scelta è andata per una saggia via di mezzo.

UN NUOVO BENVENUTO NELLA TERRA DI MEZZO

Le panoramiche a volo d’uccello e i campi lunghissimi in cui la regia di Juan Antonio Bayona (per le prime due puntate) ci immerge fin dalle prime sequenze non possono non richiamare quanto fatto da Jackson, ma è inevitabile: il modo in cui la serie immerge lo spettatore nella maestosità delle ambientazioni è figlia della regia di Jackson che ha plasmato il modo di girare scene fantasy nel terzo millennio. Ciò in cui Gli Anelli del Potere si distingue tuttavia è nella raffinatezza con cui l’attenzione della serie passa dal generale al particolare, dal fasto magniloquente delle ambientazioni alla cura maniacale per le rifiniture.

Mai un universo di finzione al cinema o in tv è sembrato così grandioso e ricco di dettagli: il livello di cura e minuziosità nella ricostruzione della Terra di Mezzo è equiparabile se non addirittura superiore al già maestoso lavoro svolto a suo tempo dai team della Weta Digital e Weta Workshop. Sembra fatto apposta per far perdere gli appassionati nella miriade di dettagli che traboccano da ogni inquadratura, accompagnata dalla maestosa colonna sonora di Bear McCreary.

La regia di Bayona è pienamente consapevole di dover bilanciare lo stupore per un mondo fantasy così enorme, il worldbuilding e la cura nella costruzione dei personaggi, e dà il suo meglio non tanto nelle ampie vedute -dove la parte del leone la fanno gli effetti visivi- quanto nei momenti di
introspezione.

LA STORIA DIVENTA LEGGENDA, LA LEGGENDA MITO

Superato il sense of wonder iniziale per il livello di dettaglio, la storia si dipana subito per una serie di linee narrative parallele che spaziano per tutta la Terra di Mezzo toccando i destini di vari popoli.

La cura nel ricostruire la specificità di ogni singolo gruppo sul piano visivo e iconografico tocca anche i dialoghi e la costruzione dei rapporti tra persone e gruppi; tutti i popoli parlano con voci diverse e costruzioni linguistiche coerenti con il proprio status e collocazione geografica. Sembra poco, ma è uno dei tanti tasselli fondamentali che contribuiscono a mantenere intatta la sospensione dell’incredulità.

Le motivazioni dei singoli personaggi appaiono chiare fin dall’inizio e Payne e McKay prestano particolare attenzione alle personalità e le motivazioni di tutti.

Se i personaggi sono quasi tutti subito ben definiti e le loro storie interessanti, non sempre tutto quadra nello sviluppo delle suddette linee narrative, e si ha l’impressione che la serie cada in alcuni trabocchetti tipici di una serie a così ampio respiro, volendo raccontare troppo in un periodo di tempo relativamente limitato -e a questo contribuisce un montaggio non sempre capace di restituire le giuste dosi di pathos e a dare eguale importanza alle diverse sottotrame-; tuttavia questo potrebbe essere un difetto delle puntate introduttive, e distendersi man mano che la storia prosegue.

LA TELEVISIONE NON È MAI STATA COSÌ GRANDE

È difficile valutare dalle prime due puntate la portata di quella che, con ogni probabilità, è la serie televisiva più ambiziosa di sempre, ma probabilmente sarà altrettanto difficile farlo anche a stagione conclusa; proprio in virtù dei pregi come dei difetti bisognerà dare tempo al tempo per stabilire se Gli Anelli del Potere sia davvero destinata a cambiare le regole a imporsi come nuovo fenomeno televisivo del momento.

Ciò che tuttavia traspare fin dal primo paio di episodi è la volontà ferrea di replicare il fulmine in bottiglia che è stata la trilogia di Jackson e alzare ulteriormente lo standard delle produzioni, imponendosi come modello di riferimento per la televisione a venire. Se Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere riuscirà dunque a catturare il cuore del pubblico e a rivelare al mondo una nuova pletora di personaggi e luoghi memorabili, o se si rivelerà tutta forma e poca sostanza, ne riparleremo a stagione conclusa; ma possiamo dire già ora che mai in televisione un universo di finzione era stato così grande, espansivo, ricco di potenzialità.

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Valentino Feltrin, Redattore