Cinque film, due serie tv, un remake ed una trilogia reboot: ad oggi il franchise de Il pianeta delle scimmie può essere facilmente definibile come il più longevo – senza contare il romanzo di Pierre Boulle da cui è stata presa ispirazione datato 1963 – con il primo capitolo che risale all’ormai lontano 1968, quasi sessant’anni fa. Divenuto fin da subito icona del cinema di fantascienza – anche chi non ha mai visto la pellicola oggi conosce la famosa sequenza della cavalcata sulla spiaggia con graduale scoperta della ormai distrutta statua della libertà – non si può di certo dire lo stesso dei sequel, contenitori di idee interessanti che non riuscirono però a bilanciare bene i propri intenti. Se lo stesso si può dire anche del bizzarro remake firmato Tim Burton del 2001, la trilogia partita nel 2011 con Rise Of The Planet Of The Apes diretto da Rupert Wyatt ed i due seguiti Dawn Of The Planet Of The Apes e War For The Planet Of The Apes con Matt Reeves alla regia riprese sapientemente numerosi elementi dei capitoli originali riscrivendoli ed adattandoli nella creazione di pellicole capaci di unire magistralmente tematiche profonde e varie con il grande respiro dei migliori blockbuster (nella puntata dedicata del podcast Strade Perdute potete trovare un corposo approfondimento proprio su questa trilogia).
Dopo la fantastica chiusura sul finale di War, risultarono inevitabili all’annuncio di un nuovo capitolo i numerosi dubbi e la paura di uno snaturamento di quanto di buono fatto finora, sentimenti amplificati ulteriormente dalla notizia della mancanza di Matt Reeves al timone. Affidata la sceneggiatura a Josh Friedman e la regia a Wes Ball, a sette anni di distanza dall’ultimo capitolo la saga torna quindi sul grande schermo con Il regno del pianeta delle scimmie: saranno riusciti a mantenere alta l’asticella e a convincere nuovamente critica ma soprattutto i fan?
The king is dead, long live the king!
Diverse generazioni dopo la morte di Cesare, la pellicola ci introduce fin da subito il nuovo protagonista: Noa, giovane scimpanzé del Clan delle Aquile, è intento, assieme agli amici Anaya e Soona nella ricerca di uova d’aquila per poter attendere alla cerimonia di passaggio del giorno seguente, divenendo così un membro effettivo del clan. A causa della presenza di un Eco, nuovo nominativo utilizzato per indicare i nuovi (sub)umani, il suo villaggio diviene vittima dell’attacco di un misterioso plotone di scimmie mascherate ed armate di lance elettriche, che uccide il capovillaggio e rapisce tutti gli altri membri del clan. Scampato per miracolo alla morte, Noa parte quindi alla ricerca del proprio clan all’inseguimento di quei misteriosi guerrieri di cui conosce soltanto il motto: “Per Cesare”.
Risulta fin dalla prima scena – lo splendido funerale notturno di Cesare – difficile associare la pellicola al tanto utilizzato in fase promozionale termine soft-reboot, in quanto, nonostante la decisione di spostare avanti gli eventi narrati di almeno trecento anni comporti l’inevitabile assenza di tutti i personaggi conosciuti in precedenza, il film si presenta in realtà come un vero e proprio sequel ricco di rimandi tutt’altro che velati agli eventi dei film precedenti. Se il protagonista ignora effettivamente l’epopea di Cesare per volontà degli anziani del villaggio di vivere in “isolamento” nella valle, lo stesso non si può certo dire del resto dei personaggi che il protagonista incontra lungo il cammino: a partire dal benevolo orangotango Raka, ultimo sopravvissuto di un ordine che si occupa di salvare i vecchi testi degli umani e di tramandare i veri insegnamenti di Cesare, travisati invece per i propri scopi dal tiranno Proximus Caesar –dal latino letteralmente “Prossimo Cesare” – che sfrutta l’iconografia dell’originale leader per tenere in scacco il suo regno.
Interessante ruolo è invece riservato all’umana Nova, portatrice di un importante segreto e che si unirà a Noa nel suo viaggio per portare a termine il suo compito. Agendo quasi da parallelismo con la Nova vista in War – entrambe dai lunghi capelli biondi e i vitrei occhi blu – il personaggio riesce in realtà a presentare un’interessante riflessione sul rapporto umano-scimmia evolvendosi in maniera tutt’altro che banale su quale sia, a tutti gli effetti, la specie dominante – ed in questo il film gioca in più di un’occasione, con un paio di twist nel corso della pellicola e soprattutto un finale che presenta un interessante campo da gioco per un eventuale futuro della serie. Peccato invece per alcune tematiche che avrebbero potuto giovare di un ulteriore approfondimento – come la riflessione sulla crescita personale del protagonista, il suo rapporto con la sua amata, la volontà di Proximus di voler sfruttare la tecnologia umana per diventare sempre più forte ed intelligente anche a costo di dover soggiogare i suoi pari – e che vengono invece relegate a poche sequenze, sicuramente riuscite ma incapaci di competere con la forza delle pellicole precedenti.
“Kurosawa con le scimmie”
Forse un po’ pretenziosa la definizione usata da Friedman per definire la sua storia, rimane comunque il fatto che quel mix di road e revenge movie – simile ma non troppo a quanto visto in War – riesce nell’intento di accompagnare lo spettatore alla scoperta di un mondo magnifico fatto di panorami mozzafiato e personaggi tutto sommato interessanti. Grande merito nella costruzione dell’atmosfera va di certo alla ormai sinonimo di qualità Wētā FX che già aveva portato alla realizzazione dei precedenti capitoli e che qui schiaccia decisamente l’acceleratore soprattutto in alcune inquadrature strette sui volti dei personaggi principali da mozzare il fiato. Ottima anche la fotografia di Gyula Pados, già da diverso tempo collaboratrice di Ball e capace di creare davvero suggestivi sia nelle riprese diurne che notturne, sia nella fitta giungla del Clan delle Aquile che sulle rocciose spiagge del regno di Proximus, alla quale si affianca una fantastica regia da parte di Wes Ball, capace soprattutto di brillare nelle sequenze più movimentate sempre chiare e decifrabili – nonostante la grande quantità di cgi a schermo – ma soprattutto capaci di trasmettere la giusta dose di adrenalina che si si aspetta da un blockbuster di questo genere.
Piccolo kudos anche al comparto attoriale, sia nella risicata componente umana retta da un’ottima Freya Allan capace di trasmettere molto anche senza l’utilizzo della parola ed un William H. Macy relegato ad un piccolo ruolo che avrebbe forse giovato di più spazio, ma soprattutto alla triade composta da Peter Macon, che riesce a dare carattere e voce a Raka rendendolo istantaneamente uno dei personaggi più iconici della saga, Kevin Durand nei panni del fantastico Proximus che incanta ma che avrebbe a sua volta giovato di maggiore screen time, dando un po’ quella sensazione di “villain sprecato” tipico di Casa Marvel, ma soprattutto dall’ottimo Owen Teague che come protagonista, pur non raggiungendo le vette del precedente Andy Serkis, comunque riesce a mettere in scena una prova eccellente, sia durante i dialoghi sia nelle sequenze in cui invece a prevalere è la recitazione del corpo.
Conclusioni
Il cambio di regia e di sceneggiatura non sembra aver portato alla disfatta della saga, che anzi con Il regno del pianeta delle scimmie apre nella giusta maniera una nuova storia con nuovi protagonisti e nuove vicende senza però dimenticare quanto venuto prima. Se sul fattore narrativo la pellicola si dimostra inevitabilmente inferiore soprattutto a Dawn e War, nella messa in scena non ha di certo invece nulla da invidiare con attori perfetti nei propri ruoli, cgi come sempre di altissimo livello ed una regia che dà il meglio di sé soprattutto nelle sequenze più adrenaliniche.
Sembra quindi il caso di dirlo, per i fan della saga “Oggi è – davvero – un giorno magnifico!”
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