Di norma, i titoli dei film ci dicono qualcosa del loro contenuto. Così non è per il dodicesimo lungometraggio di animazione di Hayao Miyazaki, senza dubbio il più conosciuto e celebrato animatore giapponese della storia, tornato al cinema nel 2023 dopo il ritiro dalle scene annunciato nel 2013 in corrispondenza dell’uscita del capolavoro testamentario Si alza il vento. Il titolo originale Kimitachi wa dō ikiru ka – ispirato dall’omonimo romanzo (1937) di Genzaburō Yoshino, che Miyazaki cita nel film pur non realizzandone un adattamento – è traducibile in “E voi come vivrete?”. Il film, ovviamente, non ha risposta per questa domanda, che è uno sprone a meditare sul senso che ognuno di noi, insieme al protagonista del film, vuole imporre alla propria esistenza. In questo senso, è un titolo aperto per un film che è anzitutto un invito ad abbracciare la vita, nonostante tutto, e ad affrontarne l’impetuoso corso. Citando Paul Valéry: “Le vent se lève, il faut tenter de vivre”, come suggeriva Giovanni Battista Caproni a Jirō Horikoshi in Si alza il vento, di cui Il ragazzo e l’airone è il seguito spirituale.
Il film, ambientato nel 1943, racconta la storia del giovane Mahito, rimasto orfano di madre durante un bombardamento di Tokyo. Il padre, un impresario nell’aviazione militare, inizia una relazione con Natsuko, la sorella minore della defunta moglie, e Mahito si trasferisce con il genitore nella villa di campagna di lei. Lì il ragazzo è perseguitato da visioni della madre e dalla presenza di un misterioso airone parlante che gli fa spesso visita, dicendo di averlo atteso a lungo. Nelle vicinanze della casa, inoltre, vi è una misteriosa e antica torre, portale verso un mondo parallelo in cui Mahito intraprende un viaggio che lo porta a confrontarsi con il senso della propria esistenza.
Sorprende che Miyazaki, ottantadue anni compiuti lo scorso gennaio, torni al cinema con un film che è l’antitesi narrativa di Si alza il vento: se il film del 2013 era un’opera realistica e narrativamente più convenzionale rispetto ai lavori passati del regista, Il ragazzo e l’airone è forse l’opera più visionaria dell’intera carriera di Miyazaki, tanto che si ha l’impressione che l’amore per il disegno e l’immaginazione sfrenata prendano più di una volta il sopravvento su una narrazione pienamente coerente. Il film è una strabordante parata di creature meravigliose: dall’airone grigio al nobile pellicano morente, dai teneri Warawara (esseri che ricordano non poco precedenti creazioni del regista) alle truppe di parrocchetti guidate da un re borioso, che sembrano una parodia del fanatismo militarista giapponese in tempo di guerra. Senza contare tutti i personaggi umani che Mahito incontra sul proprio percorso. Colpiscono in particolare le figure femminili, tutte particolarmente benevole nei confronti del giovane, che pare alla costante ricerca di madri putative che gli indichino una via nel tortuoso cammino per la ricerca di se stesso. In questo senso, Il ragazzo e l’airone è un film pieno di personaggi-guida. E la scelta di quest’ultimo vocabolo non è casuale, dal momento che allude chiaramente a un capolavoro della letteratura italiana che pare essere tra le ispirazioni più forti della nuova opera di Miyazaki.
La Divina Commedia di Dante non solo è direttamente citata (il verso “fecemi la divina potestate”, tratto dal terzo canto dell’Inferno, campeggia in bella vista in una scena chiave), ma appare come un assoluto modello strutturale e concettuale per il film. Mahito infatti viaggia attraverso torri, portali, strade, cunicoli, sentieri, cieli, mari, persino paradisi terrestri, incontrando guide, guardiani e figure semi-divine. Ma se Dante al termine del Paradiso vede il suo desiderio di conoscenza appagato dalla contemplazione ultraterrena del fulgore divino, “l’amor che move il sole e l’altre stelle”, Mahito fa proprio un percorso differente, rifiutando di rifugiarsi in un mondo sovrumano controllabile ed equilibrabile dall’alto. Mahito, in una realizzazione di sé che pare una seconda nascita, sceglie di affrontare la vita dal basso, nella sua tumultuosa ingovernabilità. “Il faut tenter de vivre”, come si diceva. È allora che si pone, per lui e per noi, la necessità della fatidica domanda: “E voi come vivrete?”. È sorprendente come Il ragazzo e l’airone, forse l’opera apparentemente meno coesa di Miyazaki, sappia approdare, in un finale straordinariamente emozionante, a una domanda così limpidamente provocatoria, che riempie di senso l’intera esperienza di visione.
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