Una famiglia legata da un amore profondo, una vita dedita all’arte e un dramma che dividerà per sempre molte strade; Philippe Garrel riunisce i tre figli Louis, Esther e Léna e li inserisce in una storia intima e profondamente personale. Lo stesso Garrel è cresciuto in una famiglia di marionettisti e il piccolo teatro protagonista del racconto riflette la personale esperienza del regista.

Il Grande Carro narra la vita di una compagnia di marionettisti che si esibisce in brevi spettacoli per bambini; i loro movimenti dietro il piccolo sipario vengono seguiti e mostrati allo spettatore come se fossero filmini di famiglia. Padre, figli e nonna lavorano insieme per realizzare ogni spettacolo, dalla realizzazione delle marionette alla scrittura delle battute, e nella prima parte del film il regista fa capire come la loro immaginazione e inventiva riesca costantemente a innovarsi. Ognuno dei figli mostra una sincera passione nel lavoro che svolge ormai da tutta la vita; anche Pieter, l’amico pittore, si impegna a dare il proprio contributo negli spettacoli. Il padre è la colonna portante, il collante che, grazie a un incredibile talento, tiene insieme l’intera famiglia.

Tuttavia, basta un niente per far crollare anche ciò che sembrava indistruttibile. Un terribile dramma cambia completamente le sorti della famiglia che nel corso della successiva ora di film arriva a sgretolarsi: Louis decide di inseguire la carriera di attore teatrale, Pieter finisce per perdere la testa dietro le sue tele. Niente sarà più come prima.

Tante vite dedicate all’arte

L’aspetto che Garrell mette più in luce attraverso questa storia è la sopravvivenza di un’arte che si potrebbe reputare “sorpassata” all’interno della società moderna. Il teatro dei burattini viene mostrato come una forma di intrattenimento che nulla ha da invidiare al teatro “classico”, costantemente in movimento e alla ricerca di novità. La piccola compagnia affronta non poche difficoltà nel mantenere in vita il suo Grande Carro (nome con cui è conosciuto il teatrino), e la prima rottura tra i fratelli inizia a scavare un abisso che finisce per inghiottire tutto ciò che trova intorno a sé.

Lo sguardo di Garrell sul deterioramento dei rapporti tra i protagonisti e sul declino della compagnia si fa sempre più malincolico man mano che il film prosegue. L’attenzione si sposta sulle scelte dei singoli personaggi, spesso dettate dal cuore ma che poi risultano autodistruttive, per se stessi e per gli altri. Se da un lato vediamo sbocciare una promettente carriera in teatro, dall’altro osserviamo il sogno di un giovane pittore andare in mille pezzi. In epoca moderna destinare la propria vita all’arte può essere una rovina, e non mancano numerosi riferimenti al fatto che molte forme d’arte tradizionali stiano man mano scomparendo.

Una gestione dei tempi non sempre ottima

Nonostante Il Grande Carro riesca molto bene nell’intento di trasmettere allo spettatore l’amore di Garrell per gli ambienti in cui è cresciuto, la gestione dei tempi e degli sviluppi di trama all’interno del film non risulta sempre perfetta. Nella seconda parte alcune sequenze appaiono un po’ affrettate e finiscono per perdere la carica drammatica: si parla di morte, di nascita, di amicizie, di follia, e si va verso un finale che sicuramente lascia un messaggio molto profondo ma non colpisce forte come avrebbe potuto.

Al di là di questo, grazie anche a delle ottime performance da parte degli attori, Il Grande Carro non fallisce nell’immergere lo spettatore all’interno di un mondo a sé stante come quello del teatro dei burattini, un luogo che pare essere sospeso nel tempo e che nasconde dietro le quinte un complicato intreccio di legami ed emozioni. Ogni personaggio viene posto davanti alla necessità di compiere delle scelte difficili, c’è chi riesce a farcela, chi arranca pian piano e chi invece finirà per cadere. E una volta giunti al finale, l’unica cosa a non crollare sono proprio i profondi legami che uniscono i personaggi, ciò che consente loro di resistere davanti alle difficoltà.

Renata Capanna,
Redattrice.