A 24 anni di distanza da Il Gladiatore (2000), Ridley Scott torna nell’antica Roma, l’epico  palcoscenico che trasformò Russell Crowe in una star di fama mondiale e che diede la spinta decisiva alla carriera di Joaquin Phoenix.

Per questa nuova avventura però, Scott punta fin dall’inizio su un cast di prim’ordine, composto da alcune delle figure più di richiamo della hollywood contemporanea e non, come Paul Mescal (Aftersun, All of Us Strangers), Pedro Pascal (The Mandalorian, The Last Of Us), Joseph Quinn (Stranger Things, A Quiet Place: Day One) e, soprattutto,  sua maestà Denzel Washington.                                                                                                            Vent’anni dopo la morte di Massimo Decimo Meridio, Roma è sotto il dominio dei gemelli imperatori, Geta (Joseph Quinn) e Caracalla (Fred Hechinger), due despoti ossessionati dalla conquista di nuovi territori e dal sangue, mentre il popolo, oppresso e affamato, paga il prezzo delle loro campagne militari.                                                                                 L’espansione dell’Impero raggiunge l’arida regione della Numidia, dove l’ultima città indipendente dell’Africa Nova diventa il bersaglio delle truppe imperiali, comandate dal generale Acacio (Pedro Pascal). Annone (Paul Mescal) e sua moglie Arishat (Yuval Gonen) si battono valorosamente per difendere la loro terra, al servizio del re Giugurta (Peter Mensah). Ma la battaglia volge a favore dei romani: Arishat perde la vita sotto i colpi nemici, e Annone, fatto prigioniero e ridotto in schiavitù, è trascinato lontano dalla sua casa.                                                                                                                           In catene, ma consumato dal desiderio di vendetta, Annone cattura l’attenzione di Macrino (Denzel Washington), un astuto mercante di schiavi con ambizioni politiche, che lo introduce nel mondo dei gladiatori.                                                                                                                                    Il compito che Il Gladiatore II si trova ad affrontare è particolarmente difficile: raccogliere l’eredità di un film che ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare, in un periodo in cui sequel e remake sono spesso accolti con scetticismo. Questo nuovo capitolo è una sorta di ibrido tra le due soluzioni, poiché riprende molti degli schemi narrativi del suo predecessore.

Uno degli elementi che ha reso il primo film così potente era l’abilità nel raccontare la lotta di un individuo, oscillante tra tragedia e speranza, contro un sistema opprimente. Massimo Decimo Meridio non è solo l’eroe che combatte contro “il cattivo”, ma un uomo che, pur consumato dal dolore e dalla rabbia, si batte per un bene superiore (la Roma sognata da Marco Aurelio). Questa complessità emotiva ha reso il personaggio interpretato da Russell Crowe una figura prima di tutto umana, oltre che carismatica.

La sceneggiatura di David Scarpa (All the Money in the World, Napoleon) priva il personaggio di Annone di quella dimensione di umanità che aveva appunto reso memorabile il personaggio interpretato da Russell Crowe, nonostante entrambi siano mossi da sentimenti simili di vendetta e giustizia. In Il Gladiatore II, Annone finisce per essere relegato a una figura che sembra più vittima degli eventi che protagonista della propria storia. Nonostante le sue intenzioni inizialmente siano chiare, il personaggio appare spesso incapace di assumere il controllo della situazione, restando sempre in balia degli sviluppi esterni. Paul Mescal fa il possibile (e lo fa bene) per rendere il suo personaggio credibile senza fare il verso a Crowe, ma Annone non viene mai veramente esplorato in profondità e il suo percorso emotivo rimane enigmatico, privo di quella complessità che avrebbe potuto renderlo un personaggio altrettanto potente e sfaccettato. L’assenza di un vero sviluppo psicologico, unita alla carenza di un controllo narrativo, limita di conseguenza anche la connessione dello spettatore con il protagonista, impedendo che il personaggio emerga come una figura davvero epica e definita. 

Questa mancanza di coesione della sceneggiatura appare anche in alcune soluzioni narrative che, a volte, risultano quasi incomprensibili.

Un altro personaggio che soffre delle stesse debolezze è il generale Acacio, interpretato da Pedro Pascal. Presentato come un condottiero sanguinario, tormentato da un pesante conflitto interiore, perde con il procedere del film la sua profondità, complice una sceneggiatura che non gli offre abbastanza spazio per svilupparsi in modo significativo.

Il tono generale del film, che aspira a una gravità epica e drammatica, viene inoltre minato dalle scene grottesche che vedono protagonisti i due imperatori. Nonostante le interpretazioni di Joseph Quinn e Fred Hechinger siano efficaci nel tratteggiare le eccentricità dei rispettivi personaggi nel loro rappresentare il caos del potere assoluto, risultano però, il più delle volte, in netto contrasto con l’atmosfera generale.

Il personaggio di Macrino è senza dubbio il più importante e coerente del film. L’interpretazione magistrale di Denzel Washington e la sua perfetta caratterizzazione rendono il personaggio una figura centrale, capace di dominare anche le scene dove non è fisicamente presente e di elevare il film stesso.

Nelle sequenze più spettacolari, Scott dimostra ancora una volta il suo talento nel gestire la grandiosità e il caos, con scene di combattimento coreografate con precisione e capaci di trasmettere tutta la brutalità e la violenza della guerra. In alcune sequenze, però, questa eccellenza visiva viene parzialmente compromessa da effetti visivi non sempre all’altezza, come nel caso del combattimento con le scimmie. 

Tuttavia, è nelle scene più intime che la regia manca di pathos e profondità emotiva.

La mancanza di un vero coinvolgimento nelle dinamiche personali riduce l’impatto di momenti che avrebbero dovuto essere il cuore pulsante della storia, penalizzando ulteriormente la possibilità di connettersi emotivamente con i protagonisti.

In conclusione, Il Gladiatore II si distingue principalmente per la forza del suo cast, in particolare grazie alla grande prova di Denzel Washington, e per le spettacolari sequenze visive che esplodono sul grande schermo. Nonostante le sue debolezze narrative e una resa altalenante degli effetti digitali, il Gladiatore II resta un’esperienza visivamente potente, che trova il suo pieno valore solo in una sala cinematografica.

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Simone Pagano,
Redattore.