Presentato in anteprima alla 75ma edizione del Festival di Cannes, nella sezione Un Certain Regard, Il corsetto dell’imperatrice (Corsage) è un film austriaco diretto da Marie Kreutzer; classe 1977, Kreutzer firma la regia del suo quinto lungometraggio per il grande schermo, dopo aver diretto cortometraggi e film per la televisione. Protagonista assoluta è la diva nell’ombra Vicky Krieps che, dopo lo struggente Stringimi forte (Amalric, 2022) regge nuovamente da sola un intero lungometraggio. 

Se pensate di entrare in sala e assistere a un classico biopic storico focalizzato sull’Imperatrice Sissi – beh, resterete (piacevolmente) disattesi. Marie Kreutzer esegue una complessa destrutturazione del film biografico volta a rigettare gli stereotipi elaborati dal cinema classico. La regista rifiuta la figura di Elisabetta di Baviera che la cultura di massa ha identificato con la Sissi di Romy Schneider, nella trilogia di film diretti da Ernst Marischka. 

Ciò che sortisce è un ritratto crudo e realista di una Elisabetta che, al compimento dei quarant’anni, si trova a fare i conti con la sua immagine pubblica e privata. La candida e gioiosa Romy Schneider viene brutalmente scalzata dalla Sissi di Vicky Krieps, dilaniata dall’anoressia nervosa e dal culto della propria bellezza.

UN FILM FEMMINISTA CHE TRASCENDE I SECOLI

Vicky Krieps è la Principessa Sissi

La capacità di un film di esprimere concetti ed elaborare problematiche che dal particolare si proiettano all’universale è più che rara. È necessario, in questo senso, sollecitare l’empatia dello spettatore verso il protagonista, contribuire all’identificazione con lo stesso, sentire le sue emozioni e i suoi turbamenti. Scegliendo la figura dell’Imperatrice Elisabetta, Marie Kreutzer si ritrova di fronte alla difficoltà di rendere umana una donna di potere, vissuta da sempre entro le mura di corte, dedita a uno stile di vita agiato. Eppure, sin dalla prima inquadratura, in cui ritroviamo una Elisabetta in apnea nella vasca da bagno, il meccanismo empatico si mette in moto. Il disagio esistenziale della protagonista viene dichiarato immediatamente e nella sua forma più cruda. Eseguendo un raffinato lavoro di ricerca riguardante le fonti storiche, Kreutzer restituisce il ritratto dell’Imperatrice al compimento dei suoi quarant’anni: la bellezza inizia a svanire, ed ella cerca di reagire con tutte le sue forze. Così come in Spencer Pablo Larraín (2021) mostra una Lady Diana dilaniata dalla bulimia, ne Il corsetto dell’imperatrice la regista si concentra sull’anoressia nervosa che affligge la donna, simbolicamente identificata con il corsetto del titolo, che Elisabetta indossa ogni giorno. Stringere, stringere, stringere: questo è il solo scopo dell’Imperatrice d’Austria. La magrezza coincide con la bellezza, e così come nel tardo Ottocento anche la società contemporanea si ritrova a dover convivere con tale ideale. Ed ecco che lo struggimento di Elisabetta trascende i secoli e le classi sociali: ecco che i suoi estenuanti esercizi fisici, la sua cura per i lunghi capelli e le sue restrizioni alimentari parlano alle donne di oggi con una violenza visiva volta a sollecitare l’engagement personale. 

La performance di Vicky Krieps, in questo senso, non si esaurisce in un dimagrimento folle – alla Christian Bale, per intenderci – bensì incorpora un disagio femminile universale. Non siamo di fronte a un’operazione di body positivity finalizzata all’hashtag popolare: l’Elisabetta di Krieps combatte contro sé stessa, la monarchia e la società; il suo ritratto non è unidimensionale, poiché ella è forte ma anche debole, una madre imperfetta ma una moglie tenace, dura contro il suo corpo e, tuttavia, caritatevole verso il prossimo. La sua personalità sfaccettata è restituita con sincerità, soprattutto in virtù di una regia che non abbandona mai il suo corpo e i suoi pensieri: non c’è censura, ma neanche pietà. Perché l’Imperatrice, alla fine di questo meraviglioso viaggio, si salva da sola: vince le proprie debolezze, si taglia i lunghi capelli e si scrolla di dosso il peso dei propri turbamenti. La metafora del bruco che diventa farfalla è sicuramente la più pertinente.

DECADENZA

La decadenza della monarchia

Il film si sviluppa tra il 1877 e il 1878: Franz Joseph (Florian Teichtmeister) è Imperatore d’Austria, Re d’Ungheria e di Boemia. Tuttavia, il timore della fine della monarchia fa tremare la sua corte, soprattutto in seguito all’Unificazione d’Italia e la costituzione dell’Impero Tedesco. Il fantasma della decadenza aleggia per tutta la durata della pellicola, in forme diverse. Il crepuscolo dei regnanti è incorporato dal decadimento fisico e psichico di Elisabetta, dagli screzi con il marito e dal sentimento di disagio che intercorre con la figlioletta. A livello stilistico, tale elemento si esprime principalmente nel rigetto verso le cerimonie istituzionali: nonostante siano presenti, la regista eclissa la pomposità delle celebrazioni a favore del sentimento di inadeguatezza espresso da Elisabetta, la quale si rifiuta di essere gettata in pasto all’alta società che, costantemente, non trattiene pungenti commenti sulla sua magrezza. Così Kreutzer volge lo sguardo all’intimità della donna, scelta che si palesa fin dall’inizio: Elisabetta, durante la celebrazione del suo compleanno, finge uno svenimento pur di ritornare a palazzo; il sapiente ralenti che inquadra la donna salire le scale insieme alle sue dame di compagnia, immagine di solitudine, fuga e turbamento, è il filo nascosto che funge da chiave interpretativa di tutto il film. 

Ma la decadenza è anche simboleggiata dall’invenzione del cinematografo, con la quale Elisabetta entra in contatto durante il suo soggiorno in Inghilterra. In alcuni momenti, l’Imperatrice viene mostrata attraverso l’occhio della cinepresa: viene ripresa a cavallo, mentre salta gioiosamente e perfino mentre impreca con tutte le sue forze – la magia del muto! La componente della modernità si riscontra per tutta la durata del film: vengono inquadrate delle fotografie appese nella stanza di Elisabetta; i candelabri sono stati sostituiti da lampadine; l’Imperatrice prova l’eroina, su consiglio del medico di corte; i manicomi che la donna visita si adeguano alle nuove scoperte scientifiche. Non per ultimo, Marie Kreutzer sceglie la cantautrice Camille come autrice della colonna sonora del film, la quale elabora brani cupi e dal sapore etereo che esprimono il sentimento di disagio di Elisabetta. Un’operazione che ribadisce non solo la forte presenza del progresso che schiaccia la monarchia, ma anche lo sguardo di Kreutzer rivolto alla contemporaneità.

STRINGERE E ALLENTARE

Le scelte di una regnante

Archiviando l’immagine della Sissi fiabesca, Il corsetto dell’imperatrice si rivela essere un’opera complessa e raffinata, ambientata nel tardo Ottocento ma che parla al presente con un linguaggio forte ed epurato da tabù e censure. Marie Kreutzer, attraverso il corpo di Krieps-Elisabetta, non esprime solo la necessità di porre al centro il femminile singolare, bensì l’urgenza di raccontare i corsetti che le donne, oggi come allora, sono costrette a portare, a stringere per raggiungere un ideale di bellezza socialmente condiviso. Il viaggio nell’intimità di Elisabetta, dalla decadenza alla rinascita, quantifica la volontà, da parte dell’opera, di trasmettere il monito ad allentare i nostri corsetti. O, per meglio dire, a rifiutare le regole e iniziare a vivere.

Questo articolo è stato scritto da:

Shannon Magri, Redattrice