I precedenti

Torna sul grande schermo dopo quasi quarant’anni Il colore viola, libro vincitore del Premio Pulitzer di Alice Walker, già adattato da Steven Spielberg nel film che ha segnato il debutto al cinema di Whoopi Goldberg ed Oprah Winfrey (fino ad allora, rispettivamente, attrice teatrale e presentatrice radiofonica e televisiva). Pur essendo stato candidato a ben 10 Oscar, il film non riuscì ad aggiudicarsi nessuna statuetta e si è guadagnato nel corso del tempo sia lodi sia critiche specialmente per la maniera in cui avrebbe annacquato il materiale di base.

Il nuovo film diretto dal regista del Ghana Blitz Bazawule è in realtà un adattamento del musical portato in scena per la prima volta nel 2005, oggetto di un revival di grande successo nel 2015 con protagonista Cynthia Erivo (che vedremo quest’anno nell’adattamento cinematografico di un altro grande musical, Wicked). Spielberg e Winfrey tornano, ma nel ruolo di produttori, mentre abbiamo un cameo di Goldberg.

La storia, che si svolge nell’America dal 1909 fino al 1947, è quella di una donna afroamericana, Celie (Fantasia), che a quattordici anni viene prima ripetutamente stuprata dal padre, da cui ha due figli che le sono strappati via, e poi data in moglie ad un uomo violento, Mister (Colman Domingo). Quest’ultimo provoca anche la separazione di Celie dall’unica persona che la ami, sua sorella Nettie (da giovane: Halle Bailey; da adulta: Ciara). Col trascorrere dei decenni Celie porta a compimento il proprio processo di emancipazione grazie all’influenza positiva di altre donne nella sua vita, in particolar modo la moglie del figliastro, Sofia (Danielle Brooks), e l’amante del marito, Shug (Taraji P. Henson).

Qualche passo avanti, diversi indietro

Il film degli anni ‘80 era stato criticato per la maniera in cui aveva affrontato con un approccio troppo “leggero”, a tratti forse fiabesco, gli importanti temi del romanzo. Il colore viola era stato, ai tempi, un testo particolarmente innovativo per la maniera in cui poneva al centro della narrazione personaggi afroamericani e le sfide da loro affrontate, oltre a rappresentare esplicitamente una relazione saffica tra donne nere.

Un nuovo adattamento, per di più affidato ad un regista capace di comprendere il testo e il background dei suoi personaggi, in questo caso non sarebbe risultato necessariamente l’ennesima riproposizione atta a battere cassa puntando sulla nostalgia del pubblico. Piuttosto, si sarebbe potuta trattare di un’ottima occasione per dare al pubblico una visione meno sanitizzata di questa storia, specialmente in un periodo storico in cui molta attenzione è rivolta a temi quali l’emancipazione femminile, le discriminazioni su base razziale e la rappresentazione di personaggi facenti parte della comunità LGBTQ+.

L’elemento a cui il nuovo adattamento dà maggior risalto è certamente un senso di sorellanza che si viene creando tra i personaggi femminili. Celie, Shug, Sofia e Squeak (H.E.R.) costruiscono una piccola comunità di donne che riesce ad opporsi all’egemonia maschile e a permettere alle singole di autorealizzarsi. Altro tema, quello dell’autorealizzazione, che il nuovo film affronta con maggiore attenzione, dedicandogli ben due numeri musicali: Miss Celie’s Pants e il meraviglioso I’m here, che rappresenta non solo il trionfo emotivo della protagonista ma, senza ombra di dubbio, anche il momento migliore dell’esibizione intensa di Fantasia.

Un cast di tutto rispetto, quello femminile, che unisce nomi enormi della scena afroamericana e che dà vita ad interpretazioni canore ed attoriali che valgono l’intero film. Fantasia, vincitrice nel 2004 (a soli 19 anni!) di American Idol, aveva già interpretato il ruolo di Celie a Broadway ottenendo un enorme successo. Nel film, riesce a portare in scena egregiamente l’evoluzione del personaggio che esce lentamente dal proprio bozzolo per farsi farfalla.

Anche Danielle Brooks aveva preso parte allo spettacolo, sempre nel ruolo di Sofia, per la cui interpretazione nel film ha ricevuto l’unica nomination agli Oscar dell’intero progetto. Halle Bailey è emersa l’anno scorso nel controverso remake de La sirenetta, mettendo tutti d’accordo sulla sua voce, tanto che una canzone originale è stata scritta per (e da) lei e l’attrice interprete della giovane Celie (Phylicia Pearl Mpasi). Ciara ed H.E.R., cantanti prima che attrici, sono ben utilizzate in due ruoli secondari ma significativi. Infine, Taraji P. Henson infonde il personaggio di Shug di tutto l’afflato vitale e, al contempo, la nostalgia necessaria al ruolo, oltre ad essere protagonista assoluta di quello che, a livello registico, è il numero meglio diretto, ovvero Push Da Button.

Degna di nota è, certamente, anche la maniera in cui in questa nuova versione si attribuisce più importanza alla ricostruzione della cultura di appartenenza delle protagoniste.

Il film, tuttavia, presenta anche diversi difetti specialmente nella maniera in cui è raccontata la storia. La scansione temporale lascia intendere che determinati eventi avvengano nell’arco di uno stesso giorno o di poche ore, non dando agli spettatori il tempo di assorbire l’impatto emotivo che questi fatti dovrebbero avere (sui personaggi e su di noi). Se il film di Spielberg aveva il difetto di strabordare in un sentimentalismo a volte inappropriato, qui il problema sta spesso nella capacità della regia di supportare le scene più drammatiche, lasciando invece sulle spalle degli attori il compito di sostenerne il peso.

Anche la regia dei numeri musicali oscilla, presentando alcune idee interessanti non sempre valorizzate dalla messinscena.

Ugualmente non chiaro, non fosse per l’utilizzo delle didascalie che segnalano l’anno in cui ci troviamo, è il trascorrere dei decenni che si basa unicamente sul trucco degli attori, molti dei quali non sembrano invecchiare affatto nel corso di più di 30 anni.

Infine, vale la pena segnalare che, nonostante siano ormai passati quattro decenni dall’uscita del film di Spielberg e nonostante i progressi compiuti in questo periodo di tempo in fatto di rappresentazione, anche in questo film ci sia stata una certa timidezza nel mostrare su pellicola la storia d’amore tra Shug e Celie, specialmente nella seconda parte. La mancanza di questo elemento, per di più, va ad influire nella narrazione: nonostante la già citata potenza dell’interpretazione di Fantasia in I’m here, questo numero si collocava nel musical dopo la fine della relazione con Shug, e rappresentava un’importantissima presa di coscienza per Celie del fatto di aver bisogno solo di sé stessa per la propria felicità.

Conclusioni

Varrebbe la pena di vedere questa nuova versione de Il colore viola per le interpretazioni potenti, sia canore che attoriali, del cast femminile, oltre che per alcuni numeri musicali riusciti. Tuttavia il film non riesce, purtroppo, a sfruttare a pieno l’occasione di riportare sul grande schermo la storia rivoluzionaria di Walker, dando vita ad un’opera non malvagia ma dimenticabile.

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Silvia Strambi,
Redattrice.