Il cattivo poeta, film scritto e diretto da Gianluca Jodice, è uno sguardo sulla figura complessa e contraddittoria di Gabriele D’Annunzio, in particolare sugli ultimi anni di vita del Vate.
La storia segue Giovanni Comini (Francesco Patanè): giovane federale di Brescia che viene incaricato dal segretario del partito fascista Achille Starace (Fausto Russo Alesi) di sorvegliare il Vate, Gabriele d’Annunzio, oppositore dell’alleanza tra Mussolini e Hitler e, per questo, sempre più inviso a Mussolini in persona. Nel corso di questo incarico Comini, inizialmente entusiasta del Partito, comincia ad aprire gli occhi sulla sua vera natura.
Quindi, più che a D’Annunzio, l’intreccio ruota principalmente attorno a Giovanni Comini e alla sua progressiva presa di coscienza della natura violenta e oppressiva del PNF. Il Vate, d’altra parte, gioca un ruolo non marginale, ma nemmeno così centrale come ci si potrebbe aspettare. Chi era in attesa di un vero e proprio biopic su di lui potrebbe, dunque, restare deluso: la maggior parte delle volte, Gabriele D’Annunzio sembra ricoprire un ruolo di catalizzatore del cambiamento di Giovanni Comini e non di protagonista effettivo.
Il film copre per “capitoli” gli ultimi anni di vita del “cattivo poeta”, dall’incarico assegnato a Giovanni Comini nel 1936 alla morte di D’Annunzio nel 1938. Questa scansione cronologica va però a svantaggio del film stesso, almeno all’inizio: a fatica tiene il passo con lo sviluppo dei personaggi, che procede “a singhiozzo” e non in modo spontaneo e naturale. Questo, assieme ai dialoghi perlopiù ingessati, contribuisce a rendere piatti e non così interessanti i personaggi, in particolare l’evoluzione di Giovanni Comini è piuttosto prevedibile fin dall’inizio.
Anche per questo motivo, quando appare, Gabriele D’Annunzio ruba facilmente la scena a tutti gli altri presenti. Merito soprattutto della performance ammirevole di Sergio Castellitto: la sua interpretazione riesce quasi da sola a rendere D’Annunzio un personaggio davvero complesso e sfaccettato. Il D’Annunzio di Castellitto è un vecchio dall’eloquenza raffinata che a volte si muove come una marionetta, fisicamente prostrato dagli anni e dall’abuso di cocaina, e a volte rivela una vitalità inaspettata, quasi animalesca. Una continua tensione a superare i propri limiti fisici, quindi, che rivelano uno scavo psicologico da parte di Castellitto che almeno in parte supplisce alla sceneggiatura, poco interessata ad analizzare gli aspetti più “scomodi” e oscuri di D’Annunzio.
Più che il D’Annunzio personaggio letterario o uomo a tutto tondo, quindi, il film è interessato a esplorare il lato di divo italiano e icona (decaduta). Questo studio sul personaggio unico del Vate riverbera una più ampia riflessione del film sul potere dei media e sulla costruzione di un mito, politico, letterario e mediatico. A questo contribuiscono l’essenziale ma efficace ricostruzione degli anni ‘30, fatta di canzoni d’epoca, interni ricostruiti a puntino ed esterni portati in vita grazie anche a effetti digitali di discreto livello, e la fotografia di Daniele Ciprì, che contrappone gli imponenti palazzi del potere fascista, la cui luce abbacinante ma gelida appiattisce i personaggi rendendoli figurine in divisa, agli intimi interni del Vittoriale, che ritagliano i personaggi in una luce calda e intensa. La contrapposizione, quindi, è tra il mito di D’Annunzio, fallace e decadente ma in qualche modo onesto, e il mito di Mussolini, artificiale e fatto di motivi propagandistici: tanto che, quando Benito Mussolini entra in scena nel terzo capitolo, all’arrivo alla stazione di Verona non pronuncia nemmeno una battuta. Oltre ai motivi propagandistici, oltre alle pervasive rappresentazioni del Duce che tappezzano le strade, le case e i luoghi di potere, non c’è niente. Quando si affaccia dal balcone della stazione di Verona e viene acclamato dalla folla, nel suo non parlare Mussolini viene messo a nudo come una tronfia caricatura, vuota di significato. Poco più che un “vigile urbano”, come viene definito con spregio, assurto al successo solo grazie a propaganda e opportunismo. Al contrario, quando D’Annunzio si affaccia dal balcone del Vittoriale per salutare i suoi legionari dell’impresa di Fiume, è un uomo curvo e a malapena capace di reggersi in piedi, ma il suo è un discorso sincero, appassionato e commosso. Luisa Baccara (Elena Bucci) dice che tutti hanno bisogno di un balcone su cui recitare la parte dei protagonisti, ma anche che ci sono buone rappresentazioni e cattive rappresentazioni: nel caso de Il cattivo poeta, l’omaggio di D’Annunzio ai suoi legionari nel Vittoriale si colloca tra le prime, la pomposa e vacua farsa di Mussolini tra le seconde. E, da sempre, gli italiani sembrano essere pericolosamente affascinati dalle cattive rappresentazioni…
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