L’interesse per l’opera di Eduardo de Filippo non si è mai spento: oltre a Natale a Casa Cupiello, il suo dramma più popolare e riproposto continuamente in nuove versioni (tra cui una con Sergio Castellitto trasmessa da Rai nel 2020), le sue opere continuano a esercitare un grande fascino in Italia e all’estero. È per questo che, nell’ultimo anno, sono usciti ben due film dedicati alla storia di due delle più grandi famiglie di attori, i Scarpetta e i De Filippo; a pochi mesi di distanza da Qui Rido Io di Mario Martone, che si concentra sulla figura di Eduardo Scarpetta è uscito in sala I fratelli De Filippo, diretto e co-sceneggiato da Sergio Rubini, che con il film di Martone condivide solo alcune scelte narrative, rappresentandone, per il resto, quasi l’antitesi.

La storia comincia e finisce a teatro, alla prima di Natale a Casa Cupiello e cornice della storia dei fratelli Titina (Anna Ferraioli Ravel), Eduardo (Mario Autore) e Peppino (Domenico Pinelli). Figli non riconosciuti di Eduardo Scarpetta (Giancarlo Giannini, che ruba la scena nelle poche sequenze che gli sono dedicate), dal padre – star del teatro dialettale – ereditano “solo” lo smisurato talento nel calcare le scene; in particolare Eduardo, attento alle novità del teatro italiano nel Novecento (in primis Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello). Il carattere difficile dei fratelli, però, rischia sempre di spezzare il legame formatosi dall’infanzia, il prestigioso cognome di Scarpetta si rivela una maledizione per i suoi tre figli illegittimi mentre, tra alterne fortune, i fratelli De Filippo escono dall’ingombrante ombra del padre e si guadagnano un posto nella storia.

L’approccio di Sergio Rubino alla regia è l’opposto di quello di Martone: se il secondo sottolinea il realismo dei personaggi e dell’ambientazione, resa con frugalità e poche pennellate di colore, la regia di Sergio Rubini abbraccia un ampio spazio geografico (si va da Napoli a Milano alla Sicilia rurale), trasfigurandolo all’insegna dell’anti-realismo e di una maggiore empatia nei confronti dei personaggi e della storia. Ansioso di catturare tutte le sfumature di una città e della sua popolazione, con uno sguardo indubitabilmente sincero e forse troppo affettuoso, il regista regala immagini da cartolina di una Napoli splendida, contrapposta a un Nord cupo, nebbioso e inospitale. A rimarcare questo dualismo contribuisce anche la fotografia solare e colorata, piacevole all’occhio e funzionale a dipingere un ambiente fiabesco -anche grazie alla musiche di Nicola Piovani- a confine tra realtà e finzione scenica, ma che rendono, anche per questo, il disegno di una città e della sua popolazione fin troppo oleografico.

Di per sé la regia è buona ma non particolarmente significativa: rimane per tutto il tempo “ad altezza di personaggio”, con qualche guizzo e alcune buone idee ma senza andare troppo in là di un basilare servizio alla storia e al buon cast, soprattutto il trio di attori protagonisti (quasi) esordienti e tutti e tre molto intensi (in particolare Anna Ferraioli Ravel, la migliore del trio).

Non brilla la sceneggiatura, forse il principale punto debole: lungi dal voler ispirare alcuna riflessione sul ruolo vivo del teatro nella società, sul rapporto tra generazioni o anche dall’offrire uno sguardo originale sulla biografia dei fratelli de Filippo, si limita a seguire dissapori e vicissitudini in una storia di impianto pienamente tradizionale. Talmente tanto tradizionale che non manca un villain, trovato nel Vincenzo Scarpetta interpretato da Biagio Izzo che, nonostante la sua discreta interpretazione, viene relegato al ruolo di rivale macchiettistico, che non sfigurerebbe affatto in un film Marvel, nonostante i tentativi della sceneggiatura di renderlo complesso e sfumato. La necessità di trovare un antagonista dove non era necessario trovarlo è in realtà indice di una più ampia incertezza sul dove far andare a parare la storia: la presenza di una cornice narrativa non basta a garantire unità a una storia frammentaria, la maggior parte del film segue episodi all’incirca connessi da un filo narrativo che in realtà è più di facciata e che quando vuole far proseguire la storia segue dei binari fin troppo convenzionali.

Anche solo per la ricostruzione storica e per l’affetto per i personaggi merita la visione e rimane un film superficialmente piacevole, ma visto l’argomento e il posto dei protagonisti nella storia e nella cultura italiana, avrebbe giovato una lettura un po’ più audace.

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Valentino Feltrin, Redattore