“Vivete nella casa del domani… oggi!”, in Ritorno al futuro un cartellone con questa frase troneggiava nella vuota Lyon Estates, promessa di un complesso di edifici che sarebbero poi stati costruiti. Guardando Here, ultimo lungometraggio di Robert Zemeckis, mi è tornato in mente l’enorme manifesto davanti al quale si ritrovava un interdetto Marty McFly.
Il film è basato sull’omonima graphic novel di Richard McGuire e, come nell’opera originale, racconta lo scorrere delle epoche, servendosi di un unico ambiente.
Una camera fissa inquadra il salotto di una villetta negli anni, nei mesi, nei giorni. Il punto di vista è sempre lo stesso: a partire dall’era dei dinosauri con una landa desolata, percorriamo la storia fino alla costruzione dell’abitazione all’inizio del Novecento, per poi ritrovarci a spiare tutti i volti e tutte le vicende di cui è teatro il medesimo soggiorno.
Maggiore attenzione è rivolta ai coniugi Young (Paul Bettany e Kelly Reilly) e al loro primogenito Richard (Tom Hanks), legato profondamente a quel posto nel quale addirittura si sposerà giovanissimo con Margaret (Robin Wright).
Gli eventi non sono narrati in maniera lineare, lo schermo viene suddiviso in più porzioni all’interno delle quali osserviamo simultaneamente momenti diversi e lontani tra loro.
Zemeckis utilizza una modernissima tecnica digitale chiamata Metaphysic Live, mediante la quale gli attori vengono ringiovaniti direttamente sul set, senza l’utilizzo di rielaborazioni in post-produzione.
Il viaggio nel tempo si sviluppa così su tre livelli: quello della trama, in quanto attraversiamo i secoli con i differenti abitanti del tinello; quello del cast, perché torniamo a incontrare Hanks e Wright proprio come nel 1994 in Forrest Gump; quello degli artifici stilistici, infatti assistiamo all’impiego estremo dell’intelligenza artificiale accompagnato però da una scelta di regia non troppo moderna (un’unica macchina ferma come nel cinema delle origini o nelle vecchie sitcom).
Se nel 1985 il regista immaginava la possibilità di muoversi tra il passato e il futuro con un’automobile costruita da uno scienziato, adesso è la nuova tecnologia a fornire questa opportunità. Accettare il sessantottenne Tom Hanks con un volto da ragazzino si rivela sicuramente complicato, la realtà si dissolve in un simulacro, che può risultare un’imitazione del visibile. Allo spettatore sta il compito di accogliere questa verosimiglianza.
Come in Tango di Zbigniew Rybczyński, veniamo catapultati in una coreografia, nella quale si ripetono gli stessi passi in diverse situazioni. Il design cambia, le carte da parati sono rimosse e sostituite, gli arredi diventano sempre più asettici e minimalisti, ma il concetto che Here vuole palesare è quello della memoria, della reminiscenza che si incarna nei luoghi.
“Il tempo è volato”, dicono più volte i personaggi, ma c’è stato e lo testimoniano i muri rovinati, i pavimenti irregolari, il grande finestrone che dà sulla strada. Se pur fugace l’attimo in cui si era “qui e ora” è esistito. Una stanza qualunque ha la facoltà di contenere un cumulo di rimpianti e di custodirli anche quando non sarà più possibile realizzare i desideri trasformati ormai in disillusione.
Il cineasta statunitense ancora una volta decide di sperimentare e costruisce (insieme a Eric Roth) una sceneggiatura poco approfondita, probabilmente più adatta a un cortometraggio, che al contempo però riesce perfettamente, soprattutto nell’ultima sequenza, a trasportarci in una dimensione nostalgica, in cui il ricordo è la sola consolazione che resta.
Lo spazio diventa il centro attraverso il quale contemplare l’eterno movimento del tempo.

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