A un anno di distanza da Ryuichi Sakamoto | OPUS, Neo Sora, figlio del compositore scomparso poco più di un anno fa, torna a Venezia con Happyend, primo film di finzione per il giovane regista a cui ha lavorato per diversi anni e la cui produzione è stata rimandata a causa della necessità di ultimare l’opera-concerto dedicata al padre.
Attingendo da esperienze personali e da fatti storici del Giappone, Neo Sora realizza un coming of age politicizzato, in cui si racconta l’amicizia di alcuni liceali all’interno di una società autoritaria e terrorizzata dall’imminente arrivo di un devastante terremoto. La coscienza politica dei giovani si sviluppa però a partire da eventi minori che si verificano all’interno della scuola e più alla loro portata ed è grazie alla scelta di dedicarsi a questioni più gestibili che il film diventa un esordio veramente notevole.
Così come il governo manipola la popolazione giapponese nel panico per il cataclisma incombente per attuare politiche discriminatorie, allo stesso modo il sistema scolastico strumentalizza l’ideale di una scuola sicura applicando restrizioni liberticide all’interno dell’istituto. È a questo punto che le strade di Yuta e Kou si separano, il primo tende a ignorare le questioni politiche, poiché al di sopra di esse e interessato quasi esclusivamente alla musica; il secondo invece prova una forte insoddisfazione e senso di impotenza, visto che, a differenza dell’amico, le discriminazioni del governo le vive nel proprio quotidiano, avendo origini coreane.
Neo Sora attinge al passato del paese per mostrare il presente e immaginare il futuro e lo fa evocando indirettamente uno degli eventi che più si è impresso nella memoria storica giapponese, ovvero il Grande terremoto del Kantō del 1923 e il successivo massacro, che il regista nipponico definisce senza mezzi termini un vero e proprio genocidio nei confronti dei cittadini di origine coreana – ma venne preso di mira anche chi aveva origini cinesi e i giapponesi autoctoni schierati a sinistra. Oltretutto il film, ambientato a Tokyo, è stato realizzato all’interno di un liceo a Kobe, altra città che nel 1995 è stata colpita da un devastante terremoto.
All’elemento del disastro ambientale come evento che tiene in scacco un paese intero si aggiunge la distopia, altro grande espediente che il Giappone ha utilizzato in diversi ambiti per riflettere sul proprio passato e le incertezze verso il futuro. In Happyend ci troviamo in un futuro prossimo dove le tecnologie di sorveglianza sono onnipresenti, dalle comunicazioni delle istruzioni di sicurezza proiettate sulle nuvole, ai continui test del nuovo sistema di monitoraggio dei terremoti, fino ad arrivare ai dispositivi di riconoscimento facciale in dotazione alla polizia che consentono di riconoscere i cittadini autoctoni da quelli di seconda o terza generazione.
Il film di Neo Sora sembra quindi non inventarsi nulla, ma riesce a raccontare l’attuale clima politico a partire dallo sguardo spensierato dei protagonisti che si ritrovano a fare i conti con un mondo che non sembra offrire prospettive positive. Nella tipica, ma mai banale, rappresentazione visiva di una metropoli come Tokyo, viene articolato un racconto fresco e giovanile, nel vero senso del termine, che non ha paura di chiamare le cose per quello che sono o di risultare scomodo alle istituzioni, perché consapevole che la contestazione è parte fondamentale di ogni sistema che vuole chiamarsi democratico. E’ proprio l’attenzione de regista verso la deriva nazionalista e autoritaria del governo del proprio paese a rendere il film rilevante sul piano internazionale, proprio in virtù del fatto che le destre estreme sono in crescita in tutto il mondo, nuovamente Neo Sora è estremamente esplicito e diretto nell’esprimere le proprie idee.
Happyend diventa quindi un film sulle manifestazioni, sulla loro utilità, le loro contraddizioni, sulla loro natura che può essere pacifica ma apparentemente inutile o violenta ma immorale. Il regista ha dichiarato che in fase di scrittura ha ripensato ai suoi giorni da liceale, quando percepiva un forte distacco verso gli amici che non erano interessati alla lotta politica e avrebbe desiderato una loro partecipazione, maturando però si è chiesto se forse non fosse lui a dover vivere il proprio tempo con un po’ più di leggerezza.
Neo Sora riflette su ciò non solo tramite le discussioni dei giovani studenti che si approcciano alla militanza politica, ma anche attraverso le azioni, suggerisce quindi che può essere manifestazione del proprio dissenso verso l’autorità anche un gesto che non è stato concepito come tale. Lo scherzo ideato dai due protagonisti ai danni del preside è l’esempio perfetto, per Kou diventa il primo passo di una serie di decisioni prese in virtù del proprio posizionamento politico in difesa degli studenti, mentre per Yuta assume il significato di una bravata troppo grande per potersela cavare con una semplice punizione. Il legame tra i due si sfibra sempre di più, ma, senza rompersi mai del tutto, l’uno viene sempre ricondotto all’altro in un modo o nell’altro.
Neo Sora riesce quindi a realizzare un film che non si limita banalmente a gridare “l’amicizia è la cosa più importante”, ma, al contrario, riesce a tradurre quest’idea in immagini, portandoci all’interno della scuola, in un gruppo di amici, in mezzo alle manifestazioni, bilanciando sempre con estrema efficacia la componente politica e quella più intimamente umana.
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