Il 2001 fu un anno d’oro per i videogiocatori, tra grandi ritorni come GTA 3 o Metal Gear Solid 2 e nuove IP che avrebbero poi contribuito a creare la storia videoludica, come Max Payne, Ico e Devil May Cry. Tra quest’ultime si fece strada anche il primo capitolo di quella che sarebbe poi diventata un’esclusiva ammiraglia della console di casa Microsoft: Halo Combat Evolved. Sparatutto in prima persona, settato nello spazio con ambientazioni sci-fi libere di essere esplorate grazie a mappe molto grandi ed aperte, senza contare l’elemento per molti fondamentale: il protagonista, Master Chief, guerriero corazzato dotato di una forza e velocità sovrumana, il cui compito era quello di spazzare via intere armate di alieni. In parole povere, la sensazione era di andare in guerra a bordo di un carro armato contro degli uomini primitivi.
Capostipite di una saga che, come accennato poco fa, sarebbe poi diventata il gioiello di punta delle XBOX, tanto da contare oggi all’attivo 12 videogiochi più numerosi libri di narrativa ed approfondimenti sull’universo narrato. Era quindi solo questione di tempo prima che un videogame così spettacolare e celebre decidesse di approdare al cinema, ma il tutto si rivelò un’impresa tutt’altro che semplice. Se già dal secondo capitolo si può vedere l’intento di rendere ancora più cinematografica l’esperienza, anche grazie ad una campagna marketing composta da video in live action con attori veri e propri, l’idea di girare un vero lungometraggio arrivò in concomitanza del terzo capitolo nel 2007, per il quale venne preso in considerazione come regista Neil Blomkamp (District 9, Elysium), che si “mise subito alla prova” girando Halo Landfall, cortometraggio che doveva fungere come punto di partenza per un film che però sfortunatamente non vide mai la luce (ricordando da vicino quanto successe poi anni dopo con il suo Alien 5, che probabilmente non vedremo mai).
Vennero poi realizzate una serie animata dal sottotitolo Legends ed una webserie chiamata Forward Unto Dawn che doveva fungere da apripista per il quarto capitolo del franchise e come punto di partenza per un eventuale film, che però ancora una volta non arrivò mai oltre le fasi preliminari. La luce in fondo al tunnel venne finalmente raggiunta, con l’ideazione di un progetto non più da visionare sul grande schermo delle sale cinematografiche, ma sul piccolo schermo (se ancora può così definirsi) delle nostre case. Pubblicata con cadenza settimanale sulla piattaforma streaming Paramount+ (arrivata da noi in Italia su Sky Atlantic e Now TV), Halo La serie si è conclusa giovedì 19 Maggio. Sarà valsa la pena aspettare tutto questo tempo oppure, come per buona parte delle produzioni così tanto travagliate, ci siamo ritrovati davanti ad un prodotto pieno di problemi?
EPOPEA SPAZIALE DA MANUALE
In un lontano futuro, l’umanità vive nello spazio e viaggia utilizzando navicelle spaziali, creando stazioni orbitali e colonizzando pianeti. Non possono poi mancare le rivolte dei ceti più poveri dei pianeti minerari o considerati “di secondo piano” e l’inevitabile guerra contro le altre specie che popolano l’universo. Una base estremamente semplice, forse abusata, ma che ancora oggi funziona alla perfezione. Il protagonista delle vicende è John 117, conosciuto con il nome di battaglia di Master Chief e capo del Silver Team, manipolo di guerrieri geneticamente e biologicamente avanzati ed estremamente abili nel combattimento che prendono il nome di Spartans e che indossano tostissime armature super tecnologiche. Dove però il videogioco si fermava, fornendoti queste poche informazioni e lanciandoti subito al centro dell’azione, la serie sembra voler percorre binari leggermente diversi. Bisogna infatti aspettare quasi la metà del primo episodio per poter vedere per la prima volta Chief (tra l’altro con un’entrata in scena spettacolare e dall’alto tasso adrenalinico), poiché la serie preferisce subito mettere le cose in chiaro: per quanto possano in alcuni casi assottigliarsi di parecchio, la serialità televisiva (come il cinema) e il mondo dei videogiochi seguono regole diverse e il team creativo dietro la serie ha deciso di fare una scelta per molti ovvia ma allo stesso tempo coraggiosa, ovvero di non seguire pedissequamente il materiale d’origine e di creare invece una propria storia, con i propri tempi e le proprie storie e narrazioni.
Con le sue nove puntate (ancora lontane dalla massiccia durata delle serie inizio anni 2000 con più di venti episodi a stagione, ma comunque sopra la media rispetto alla norma), la serie si prende tutto il suo tempo per raccontare una storia innanzitutto sull’uomo, sulle emozioni che prova, sui legami che può formare, su ciò che gli è di più caro, ma anche sui suoi numerosi difetti. In questo la serie pone i Covenant, l’unione di specie aliene che dichiara guerra all’umanità, ed i loro obiettivi quasi in secondo piano, ponendo l’accento sui personaggi umani e sui loro drammi. Si focalizza in primis su un John sempre meno macchina di morte e tuttavia più conscio di sé stesso mano a mano che la serie avanza, passando poi per la ribelle Kwan Ha, simbolo di una rivoluzione “proletaria” destinata a fallire, la dottoressa Elizabeth Halsey, disposta a sacrificare tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi scientifici e di superare i limiti umani, fino a Mekee, umana “adottata” dai Covenant e che giura vendetta contro la sua stessa razza, il tutto senza dimenticare gli altri Spartans, tra cui spicca senza dubbio Kai, con i suoi drammi morali e di riscoperta di sé stessa, e l’intelligenza artificiale Cortona.
VIVERE LO SPAZIO
Dal punto di vista narrativo, preme sottolineare come non ci si ritrovi comunque davanti a nulla di innovativo, il tutto procede su binari molto classici portando anche all’inserimento di qualche elemento che sembra di troppo (un esempio è la gestione di Vinsher, classico villain macchiettistico e stereotipato che, se adeguatamente approfondito, avrebbe potuto donare molto di più), ma senza mai generare veramente quella sensazione di esagerazione, accompagnando lo spettatore e permettendogli di adattarsi alle “regole del gioco” e mantenendosi complessivamente su ottimi standard. Il tutto viene sicuramente aiutato da un ottimo cast, capitanato dal canadese Pablo Schreiber (che diversi ricorderanno come Mad Sweeney in American Gods) che presenta qui un’ottima prova attoriale apparentemente statica e capace tuttavia di toccare alte vette emotive. Assieme a lui anche Charlie Murphy, Kate Kennedy, Natascha McElhone ed il resto del cast riesce a donare la giusta impronta ai vari personaggi, principali o secondari che siano.
Registicamente la serie si attesta su un ottimo livello, alternando dietro la macchina da presa Otto Bathurst (regista di Robin Hood – L’origine della leggenda, ma anche di alcuni episodi di serie come Black Mirror, Peaky Blinders e His Dark Materials), Roel Reiné, Jonathan Liebesman e Jessica Lowrey, che mettono in scena scenari mozzafiato e con un altro grado di iconicità assieme ad alcune scene d’azione, poche ma ben inserite, di ottima fattura. Al tutto si aggiunge un’ottima CGI, capace di arricchire le scenografie e di dare volto alle varie razze aliene con un dettaglio ai limiti dell’incredibile, mostrando invece il fianco nel mettere in scena alcune movenze super-umane degli Spartans (sempre però rimanendo nella sfera del godibile).
CONCLUSIONI
Con un prodotto per la televisione, Halo ottiene finalmente il suo tanto agognato adattamento in live action, anche se forse non è quello che molti fan si aspettavano. Lasciando alla sua controparte videoludica l’azione e le esplosioni senza fine, questo prodotto si presenta come un’epopea spaziale al cui centro ruota la scoperta dell’umanità e dei suoi pregi e difetti, il tutto con una buona regia ed una CGI di ottima fattura pur con qualche sbavatura, che, assieme ad un ottimo cast capace di far empatizzare con i vari personaggi, creano un universo semplice, ma mai banale e di cui vorremmo vedere sempre di più.
Pur non trattandosi di qualcosa di innovativo questa produzione si mostra come un faro luminoso nel marasma di prodotti seriali privi di mordente e ricchi soltanto di fan service, capace di far rimanere accesa la speranza che, al giorno d’oggi, possiamo ancora sperare in serie tv scritte in maniera intelligente e consona.
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