Impresa all’apparenza semplice ma in realtà particolarmente insidiosa quella in cui si è imbarcato nel 2018 David Gordon Green prendendo la saga di Halloween, creata da John Carpenter nel 1978, dalle mani del regista “a basso costo” Rob Zombie – che ne aveva realizzato un remake dell’originale nel 2007 che ebbe anche un seguito nel 2009 – con l’intenzione di creare una nuova trilogia che si ponesse come sequel diretto di quel primo capitolo uscito quasi quarant’anni prima.
L’uscita del primo nuovo capitolo fu, nonostante il mix di critiche sia dei professionisti che del pubblico, complessivamente un grande successo, tanto da assicurare la realizzazione effettiva degli altri due capitoli intitolati rispettivamente Kills ed Ends.
Halloween Kills raggiunse le sale nell’ottobre del 2021 proponendo un bagno di sangue lungo 105 minuti in cui Michael Myers sembrava quasi immortale, potenziato dalla cattiveria e dal male insito nelle persone che egli stesso aveva contribuito a creare (se volete approfondire il nostro parere, trovate qui la nostra recensione). Ad un anno esatto di distanza arriva sul grande schermo il tanto atteso capitolo finale – tanto conclusivo da voler inserire la parola end direttamente nel titolo –, ma sarà davvero la fine del franchise? E in questo caso, siamo di fronte a un buon finale o a un’occasione sprecata? Scopritelo in questa recensione.
FOLIE À DEUX
2019, Haddonfield. A un anno dal massacro avvenuto durante la notte di Halloween, Michael Myers è scomparso e la città vive un periodo di apparente tranquillità. L’ombra dell’assassino è ancora presente e molte persone temono per la loro incolumità e per quella della loro famiglia. Si torna a chiamare quindi un babysitter per i propri figli, come Corey (Rohan Campbell), giovane ragazzo di ventun’anni che trova in questo lavoretto soldi facili per pagarsi il college. Ma – come da tradizione per un buon film horror che si rispetti – la morte è dietro l’angolo, facendo precipitare il giovane ragazzo in un vortice di dolore e sofferenza. Dopo un prologo che serve per mettere sulla scacchiera i primi pezzi, il film ci porta avanti di altri tre anni fino al 2022, mostrandoci una Laurie Strode (Jamie Lee Curtis) – che vive con la nipote Allyson (Andi Matichak), ora infermiera – alle prese con la scrittura delle proprie memorie. Michael Myers è ancora scomparso.
Già dall’inizio si può intendere quale fosse l’obiettivo di Green per questo terzo (ed ultimo, lo sottolineiamo) capitolo della saga: mostrare un prodotto in continuità con il passato che sia in grado di mantenere la propria anima ma che allo stesso tempo riesca ad allontanarsi dagli stilemi classici della saga per proporre qualcosa di diverso. Se dovessimo pescare un altro capitolo del franchise che per certi versi assomiglia a questo Ends sarebbe proprio quel tanto amato/odiato Halloween III – Il signore della notte (o Season of the Witch con il bellissimo sottotitolo originale), film datato 1982 che propone un racconto senza Michael, un po’ come fa Green relegando la presenza del boogeyman a poche scene per quasi tutta la durata della pellicola fino al finale dove invece torna nella sua maestosità per l’ultimo grandioso scontro conclusivo.
Nonostante questo crei un enorme sbilanciamento tra una prima metà in cui si assiste quasi più a un film drammatico piuttosto che a un horror e una seconda metà dove l’anima slasher torna invece preponderante, il tema fondamentale a cui ruota attorno questa pellicola (e che per proprietà commutativa finisce poi per diventare il fulcro attorno a cui ruota tutta la nuova trilogia nel complesso) è il male in tutte le sue forme. Dove nel capitolo del 2018 si metteva in mostra l’ossessiva ricerca di Myers, del comprendere il suo “punto di vista” da un lato e del cercare di fermarlo una volta per tutte dall’altro e in Kills si mostrava l’isteria di massa e le sue conseguenze, in Ends viene mostrato come l’odio, più o meno motivato, di una cittadina intera possa portare alla nascita di veri e propri mostri anche tra le persone più comuni, mostri che nemmeno Michael Myers in persone riesce a fermare e che si ritrova quasi spaventato, inerme davanti alla loro presenza.
CARA, ODIATA HADDONFIELD
Dal punto di vista tecnico, è innegabile l’ulteriore salto in avanti compiuto da Green in questa pellicola. Se già nel capitolo precedente riusciva a mettere in scena qualche sequenza interessante ma accerchiata da tante altre più semplici e classiche, qui il regista texano dimostra piena padronanza del mix regia e sceneggiatura, riuscendo a mostrare con le immagini il perfetto corredo di ciò che la storia vuole raccontare e mettendo così in scena il suo miglior approccio registico. Non siamo comunque di fronte alla rivoluzione, questo risulta innegabile, e di certo non si ha nemmeno la pretesa di accostare la regia di Green a quella del buon Carpenter ma, aiutata da una buona fotografia e dai vari reparti visivi, la pellicola risulta decisamente bella da vedere. La sequenza che decreta la bravura di Green si rivela poi essere lo scontro finale, capace di creare la giusta tensione, senza togliere spazio agli attori con movimenti di macchina che potevano risultare soverchianti ma al tempo stesso nemmeno troppo statici, portando sullo schermo uno scontro decisamente epico e simbolico per la saga intera.
Ottimo lavoro è stato anche svolto dagli attori che vanno a comporre il cast. Jamie Lee Curtis risulta come sempre magnetica, capace di mettere in scena una Laurie Strode che continua a portarsi dietro gli strascichi di quella fatidica notte del ’78 con in aggiunta la ancora fresca mattanza del 2018 ma che è decisa a mettere la parola “fine” su tutto questo, accompagnata da un James Jude Courtney che, per quanto disponga di un minutaggio a schermo decisamente ridotto, riesce a mettere in scena un Michael debole e quasi stanco come non si era mai visto ma comunque capace di ritornare alla furia di un tempo giusto per lo scontro finale. Dove Andi Matichak svolge un buon lavoro “senza infamia e senza lode”, è senza dubbio il venticinquenne Rohan Campbell a mostrarsi come vera scoperta del film, forse grazie anche all’ampio minutaggio dedicato al suo Corey, capace di mettere in scena un personaggio sfaccettato e complesso ma senza scadere nell’eccessivo stereotipo o nell’overacting.
CONCLUSIONI
Con Halloween Ends David Gordon Green porta a termine non solo la sua trilogia ma l’intera saga di Halloween, e lo fa con un finale che si allontana dalle atmosfere più slasher e piene di sangue del capitolo precedente e che preferisce guardarsi dentro, presentando una rilettura del genere stesso, e fuori, parlando prima di Haddonfield e poi di Michael Myers. Non lo fa sempre al meglio: il ritmo decisamente pacato della prima metà che si trasforma in una vera e propria maratona nella seconda può scoraggiare molti, così come anche la quasi totale assenza di Michael che esce dalla sua tana solo per decretare la fine di tutto con un bellissimo scontro finale.
Un finale che a molti farà storcere il naso, che molti potranno addirittura odiare e detestare, ma che dimostra come David Gordon Green – oltre a essere maturato come regista di capitolo in capitolo – sia riuscito a mettere in scena la sua storia e, seppur sia caduto in diversi momenti facendosi del male da solo, non possiamo che apprezzare il suo coraggio e la sua tenacia.
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