Bava, Fulci, Argento, Deodato, Soavi, Avati, D’Amato: grandi nomi che tra gli anni ’60 e ’90 furono capaci di donare linfa al cinema italiano grazie alla decisione di puntare sul “genere”. Presi come forte fonte d’ispirazione da moltissimi registi negli anni, è indubbio che senza di loro buona parte dei film horror contemporanei più apprezzati, anche ad opera delle grandi produzioni americane, non sarebbero mai esistiti.
Da qualche anno a questa parte, dopo un decennio di oscurità quasi totale, la produzione cinematografica italiana sembra essere intenzionata a puntare di nuovo proprio su produzioni legate al cinema di genere. Sono infatti arrivate al cinema pellicole come Lo Chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out di Gabriele Mainetti, Veloce come il vento e Il primo re di Matteo Rovere o il recentissimo L’ultima notte di Amore di Andrea Di Stefano, film capaci di conquistare sia la critica che il pubblico e di rivitalizzare un cinema creduto morto fino a pochi anni fa. Anche nell’ambito del genere horror però è da ormai diversi anni che qualcosa sembra smuoversi, con alcuni nuovi nomi che si lanciano nell’ardua impresa di portare al cinema l’horror “come piace al popolo” ma senza rinnegare troppo il loro paese e le loro origini. Arrivano quindi Lorenzo Bianchini, Roberto D’Antona, Lucas Pavetto, Roberto De Feo, Daniele Misischia, Denis Frison, Paolo Strippoli: quasi tutti esordienti – qualcuno è ormai già alla seconda o terza opera – che a volte centrando l’obiettivo ed altre volte meno, sono comunque sintomo di una rinascita che non si trova più in un futuro prossimo, ma in un presente già avviato.
E’ in questo “movimento” che si inserisce anche Ambra Principato e che ha esordito in questi giorni al cinema con Hai mai avuto paura?, di cui ha anche curato la sceneggiatura liberamente ispirandosi al romanzo in prosa Io venia pien d’angoscia a rimirarti di Michele Mari.
Giacomo (Justin Korovkin), Orazio (Lorenzo Ferrante) e Pilla (Elisa Pierdomenici)
E quindi uscimmo a riveder le stelle
“O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti”
(Alla Luna, Giacomo Leopardi)
Italia, 1813. L’adolescente Giacomo (Justin Korovkin), che oltre al nome condivide con il famoso poeta anche la forte passione per la poesia ed una nascente gobba, è il primogenito di una famiglia nobile divisa tra la madre contessa (Marta Paola Richeldi) fortemente religiosa e bigotta ed il padre conte (David Coco) legato all’ambito scientifico ma uniti dal disprezzo per la scrittura e dalle preoccupazioni dovute alla gestione del piccolo paese sotto il loro controllo. Ad allietare leggermente le sue giornate ci sono però i fratelli minori Orazio (Lorenzo Ferrante) e Pilla (Elisa Pierdominici), ancora piccoli per le preoccupazioni della famiglia ma già impegnati nello studio delle formalità nobiliari di quegli anni. È quando cominciano a circolare delle voci in paese su una strana bestia assassina però che l’apparente perfezione della famiglia comincia a sgretolarsi sotto i loro piedi.
La prima cosa che senza dubbio colpisce è la decisione di ambientare la storia così tanti anni nel passato, dalla quale ne deriva una necessità di adattamento a livello di costumi, stile di vita e dialoghi dei personaggi. Proprio su quest’ultima è stato svolto un lavoro encomiabile che ricorda molto da vicino l’accurata ricerca storica di Eggers in lavori come The VVitch o The Northman, costruendo personaggi dotti che si destreggiano in lunghi periodi ricchi di termini aulici e popolani che invece dimostrano una minore padronanza della lingua, senza però mai farli scadere nell’eccesso o nello stereotipo.
In secondo luogo, è la riflessione sulla paura presente anche nel titolo che finisce per catalizzare l’attenzione e che diviene ben presto il fulcro vero del racconto. Il mostro che terrorizza il piccolo paesino, infatti, è sempre nell’ombra e lo si vede agire soltanto attraverso le sue inquietanti soggettive – quasi fossimo in uno giallo argentiano – perché l’orrore su cui si punta non è tanto quello visivo quanto quello suggestivo, l’inquietudine che scaturisce dalla situazione e che finisce per far cadere le maschere e mostrare il proprio io, sia nel bene che nel male. L’incontro-scontro che ne scaturisce quindi tra la religione, la scienza e le credenze popolari, ognuna con il proprio modo di affrontare la situazione screditando le altre, arricchisce enormemente il racconto, trasportando al tempo stesso una riflessione applicabile senza difficoltà anche al nostro presente di tutti i giorni.
Scajaccia (Mirko Frezza) guida una spedizione di contadini per cacciare la bestia
Gothic Horror ma con poco sangue
A creare la giusta atmosfera, oltre alle ottime scenografie e i meravigliosi costumi, ci pensano poi gli attori scelti, in primis gli interpreti di Orazio e Giacomo e lo zingaro Scajaccia interpretato da Mirko Frezza – truccato in maniera tale da renderlo a mani basse il personaggio più iconico della pellicola – ma anche tutti gli altri personaggi secondari riescono comunque a spiccare; la fotografia curata da Davide Sondelli, capace di esaltare ottimamente gli interni donandogli sempre un aspetto antico e realistico e mai di “ricostruzione” posticcia, ma soprattutto i numerosi shot esterni in notturna, mai troppo bui perché sempre illuminati da una luce lunare, funzionale ma al tempo stesso sempre simbolica; la regia della Principato, che riesce a donare vita ad un racconto popolato da pochissimi personaggi e in ambienti dalle dimensioni ridotte.
L’elemento che forse meno riesce a conquistare è quello più puramente horror. Se infatti la decisione di nascondere il mostro per riflettere sul tema funziona, nella creazione dell’orrore ciò riduce al minimo una presenza scenica che di per sé avrebbe fatto buona parte del lavoro ed alla quale vanno poi ad aggiungersi diverse sequenze caratterizzate dalla classica musica di tensione e che si concludono nel classico jump scare. L’asticella si rialza un po’ sul finale, dove si decide di premere sull’acceleratore fino in fondo mostrando finalmente il sangue e l’orrore visivo che forse si sarebbe potuto mostrare anche prima.
Conclusioni
Se tutti i registi esordienti avessero almeno la metà della voglia di rischiare e di sperimentare di Ambra Principato, in Italia basterebbero forse giusto un paio d’anni per tornare ai grandi fasti del cinema di genere italiano che ci ha rappresentato per diversi anni. Hai mai avuto paura? è infatti uno dei film di genere italiani più interessanti degli ultimi anni, capace di unire un ottimo cast ed un comparto tecnico che funziona ad una sceneggiatura curata e con scenografie e costumi capaci di creare un bellissimo ma inquietante spaccato di vita ottocentesca, manifestando in maniera geniale lo scontro tra religione, scienza e credenze popolari dure a morire.
Solo il futuro potrà dire se siamo davanti ad una piccola fiamma destinata ad estinguersi o ad una scintilla che aiuterà il genere a rinascere. L’unica cosa che possiamo fare è correre in sala per supportare questi film il più possibile.
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