Cosa succede se si mettono insieme Karen Gillan, Lena Headey, Carla Cugino, Angela Basset e Michelle Yeoh, le si rende dei killer (quasi) infallibili e le si inserisce in un universo chiaramente ispirato ai recenti John Wick, ma con più violenza? Si ottiene un bel mix,a volte anche un po’ confuso, di nome Gunpowder Milkshake. Chiaramente l’idea alla base del progetto, scritto e diretto da Navot Pupushado (conosciuto dai più per Big Bad Wolves  da lui stesso diretto e per cui vinse numerosi premi) era quella di creare una pellicola sulla falsa riga dell’enorme successo che fu di John Wick ed relativi sequel, creando una one army (questa volta) woman, una killer che uccide all’interno di un mondo gestito da diverse società segrete seguendo delle regole ben precise (non si può uccidere chi si vuole, ci sono alcuni luoghi dove le armi sono vietate e così via).

La differenza chiaramente risulta nella tinta prettamente femminile che la pellicola presenta con un cast di antieroine (perdonate il francesismo) cazzutissime, ma che presentano allo stesso tempo forti ideali e sentimenti ben evidenti.

JOHN WICK AL FEMMINILE, MA NON TROPPO

La protagonista della pellicola è Sam, killer esperta che lavora per una società segreta composta da alcuni degli uomini più potenti del mondo chiamata The Firm e che, durante uno dei suoi lavori, finisce per uccidere le persone sbagliate, ritrovandosi una infinità di killer alle spalle ed una ragazzina di 8 anni (e tre quarti) a cui badare. Da qui la pellicola alterna scene tranquille e dialogate in cui presentare ed approfondire il mondo nel quale vivono i personaggi e le sue regole, a scene di combattimento decisamente sopra le righe e piene zeppe di sangue, discostandosi da quella corrente che si sta sviluppando negli ultimi anni e che punta a presentare combattimenti adrenalinici ma ai limiti del realismo (per non citare sempre il nostro assassino interpretato da  Keanu Reeves si possono prendere come esempi Atomica Bionda (Devid Leitch, 2017) o Tyler Rake (Sam Hargrave, 2020), che presentano combattimenti basati sulle capacità reali degli attori e quindi con un uso limitato di stuntman). Questa gestione dei combattimenti risulta al tempo stesso un punto di forza, poiché le scene risultano particolarmente divertenti riuscendo a divertire ed intrattenere lo spettatore, ma anche un punto a sfavore, poiché alla lunga rischiano di diventare eccessive. 

A livello di scrittura, i personaggi secondari risultano purtroppo solamente accennati, sia per quel che riguarda il loro carattere sia per i rapporti con il resto dei personaggi e del mondo che sta loro intorno, rendendoli forse un eccessivamente stereotipati, soprattutto nel caso delle tre bibliotecarie decisamente troppo simili e poco diversificate tra di loro. Per quanto riguarda invece la protagonista e la madre, la scrittura risulta più curata, riuscendo ad approfondire il loro carattere e mettendo in scena un ottimo scontro “sentimentale” tra le due. 

I villain d’altro canto risultano anche loro abbastanza anonimi, finendo per essere i classici cattivi grossi e rozzi che vogliono uccidere per sete di vendetta. Peccato soprattutto per Ralph Ineson, che si ritrova ad interpretare un ruolo per il quale è completamente sprecato.

SANGUE AL NEON

Il lato tecnico del film è la parte più riuscita del prodotto. La regia riesce in diversi punti a creare delle sequenze stupende, soprattutto per quanto riguarda le scene di combattimento, che risultano chiare e divertenti. In questo aiuta moltissimo la fotografia, che riempie le scene di luci artificiali ed al neon, riuscendo a spettacolarizzare in questo modo diverse sequenze di combattimento. Ottima e perfettamente inserita nel contesto è la colonna sonora, cha accompagna nella giusta maniera i vari momenti del film.

La recitazione risulta particolarmente buona. Certo, non siamo di fronte alle migliori interpretazioni del cast, ma soprattutto dal lato dei “buoni” risulta palese come le attrici si siano divertite parecchio nell’interpretare questi personaggi. Una menzione d’onore va a tre attori in particolare: la prima è Chloe Coleman, che interpreta la bambina Emily alla perfezione nonostante la giovane età; la seconda va a Paul Giamatti, che nonostante abbia uno screen time minore rispetto ad altri colleghi riesce a mettere in scena un’interpretazione memorabile; l’ultima va alla protagonista Karen Gillan, che è riuscita a dare vita ad un personaggio “strano” ma allo stesso tempo equilibrato per il ruolo che interpreta, soprattutto grazie alle sue espressioni ed alla mimica facciale.

CONCLUSIONE

Nonostante l’ottimo cast che ci regala delle interpretazioni degne di nota, la seconda pellicola di Navot Pupushado si inserisce in quell’elenco di film d’azione “nella media”, che non cerca di innovare ma di divertire il pubblico, senza porsi limiti. Lo fa traendo ispirazione dai successi più recenti del genere, creando però una sceneggiatura abbastanza scialba e dei personaggi secondari e dei villain anonimi. Alza l’asticella il reparto tecnico, soprattutto grazie ad una buona regia ed una fotografia “al neon” accattivante. Si poteva certo fare di più, ma risulta comunque un film adatto per passare una serata in cui spegnere il cervello divertendosi.

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Mattia Bianconi, Redattore