Green border (Zielona granica), l’ultimo film della regista polacca Agnieszka Holland, è il vincitore del Premio speciale della giuria all’80 esima Mostra del Cinema di Venezia.
Il “confine verde” a cui si riferisce il titolo è la foresta di Białowieża o Belavežskaja, una riserva naturale quasi del tutto incontaminata che oggi è divisa tra la Polonia e la Bielorussia. Dal 2021 in poi convergono su questo confine i flussi migratori in arrivo da diverse parti del mondo: dal Medio Oriente, in particolare Siria e Afghanistan, dall’Africa e dalla stessa Bielorussia. Il film inizia proprio dall’autunno del 2021, mostrando una famiglia siriana e un’insegnante afghana che atterrano all’aeroporto di Minsk per poi dirigersi verso l’Europa. Inizia una vera e propria odissea, durante la quale verranno più volte catturati dalle guardie di confine dei due stati, trascinati di qua e di là dal filo spinato, senza spiegazione e anzi spesso trattati con violenza. La pellicola è divisa in quattro capitoli: al punto di vista dei migranti presentati nel primo si uniranno poi quello di una giovane guardia di frontiera e quello di un gruppo di attivisti che cerca di portare cibo e cure mediche ai rifugiati, agendo anche da mediatori con l’autorità locale.
Europa, Polonia, 2021
Green border non è un documentario ma ne assume alcune caratteristiche, sia stilistiche che di contenuto: non ha altro scopo se non descrivere la crisi umanitaria e la violenza che realmente ha avuto luogo e probabilmente ha ancora luogo oggi, in quella parte di Europa. La narrazione segue i tentativi dei rifugiati di ottenere asilo in Polonia con il sostegno degli attivisti, ma aggiunge alla storia della famiglia protagonista numerosi altri episodi, diventando di fatto una raccolta di tutte le storie possibili. La stessa Holland ha dichiarato, durante le numerose interviste a riguardo, che pur mostrando personaggi inventati il film è interamente basato su testimonianze reali.
Inoltre Maja Ostaszewska, che interpreta l’attivista Julia, non è solo un’attrice di professione ma è realmente membro del movimento umanitario Grupa granica che vediamo all’opera nel film. Un ulteriore punto di forza è sicuramente la scelta di non concentrarsi esclusivamente sui migranti ma mostrare il contesto dentro cui si svolgono i fatti a trecentosessanta gradi, attraverso le vite del soldato e di Julia. Vediamo come le guardie vengono istruite dai loro superiori e vivono la tragedia in atto come una semplice seccatura capitata sul lavoro, assistiamo alle conversazioni dei cittadini che abitano nei paesi limitrofi e a diversi momenti della vita quotidiana intorno alla frontiera. Il bianco e nero cupo della fotografia da una parte dà un’eleganza che si discosta dallo stile e dal tema, dall’altra però contribuisce alla drammatizzazione del racconto.
Non un bel film ma un film necessario
Purtroppo mantenere l’equilibrio tra il dramma e la denuncia sociale non era semplice; e la pellicola ha il difetto di cercare l’impatto emotivo a tutti i costi. Le scene di brutalità estrema vengono riproposte molto più di quel che sarebbe stato necessario, soprattutto considerando che una regia capace come quella della Holland non fatica a trasmettere un messaggio fin dalle prime inquadrature. Questa ripetitività fa sì che il pathos, che all’inizio non manca, si esaurisca presto, lasciando il posto all’attesa di scoprire un “dunque”, una chiave di lettura o anche solo uno sviluppo di trama che però non arriva mai all’altezza delle premesse. I personaggi non trovano spazio per un approfondimento che vada al di là dei semplici fatti, di cui sono sempre e solo vittime impotenti, e rimangono quindi appiattiti. Sembrano rappresentare più un ruolo generalizzato -migrante afghano, migrante africano, attivista eccetera- che singole persone. La visione d’insieme risulta priva di sfumature e divisa nettamente tra i buoni e i cattivi, e anche alcuni dialoghi sono didascalici in questa direzione.
È evidente che l’intenzione principale nel girare questo film-documentario fosse denunciare le violazioni dei diritti umani commesse dai governi coinvolti e portarle sotto gli occhi di tutti; e che questo possa aver fatto passare in secondo piano la sceneggiatura. Green Border è di fatto un’opera dimenticabile dal punto di vista artistico, ma che è stata ed è rilevante soprattutto in patria per ben altre ragioni. Agnieszka Holland è stata accusata di tradimento e propaganda. In Polonia al momento è vietato proiettare Green Border senza un video messaggio iniziale con il quale il governo polacco presenta la propria versione dei fatti.
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