Entrare in una narrazione, sia essa realizzata in forma di libro, film, videogioco o altro, richiede sempre da parte di chi ne usufruisce una specie di atto di fede, un “patto” che si stabilisce col narratore. Infatti, il ricevente si impegna sempre ad accettare il “mondo narrativo” offertogli da chi ha creato la storia, un insieme di convenzioni legate sia alle indicazioni offerte dal creatore sia dalle tradizionali regole del genere a cui la storia appartiene. È per questo motivo che in un romance storico come Orgoglio e pregiudizio l’apparizione di un maghetto a cavallo di una scopa volante ci porterebbe totalmente “fuori” dalla storia, mentre invece in un fantasy urbano come Harry Potter sarebbe la norma.

Coi thriller erotici il rischio di superare la linea di demarcazione tra ciò che uno spettatore è disposto ad accettare come credibile e cosa no sembra spesso essere più grande rispetto ad altri generi cinematografici. È difficile affermare con certezza se ciò sia dovuto alla commistione di quello che ci appare come il mondo reale con vicende che, spingendo sull’esagerazione per shockare il pubblico, finiscono per risultare assolutamente non credibili tenendo conto delle leggi su cui si fonda la nostra realtà ed attualità.

Fatto sta che Gioco pericoloso, thriller (in teoria) erotico di Lucio Pellegrini con protagonisti Adriano Giannini, Eduardo Scarpetta ed Elodie, questa linea la supera ampiamente.

La premessa in sé, pur non brillando per originalità, lascerebbe anche spazio per sbocchi interessanti. Giannini interpreta Carlo Paris, uno scrittore di mezza età entrato in una profonda crisi creativa dopo l’uscita e il successo clamoroso del suo primo romanzo. Vive assieme alla compagna, Giada (Elodie), una ballerina che a sua volta fatica a trovare lavoro. 

Nella loro vita irrompe Peter Drago (Scarpetta), un aspirante artista. Peter si insinua sempre di più nella vita dei due, in apparenza usando Carlo come tramite per entrare nel mondo dell’arte. 

Il triangolo amoroso c’è tutto già a partire dalle immagini promozionali ed è anche bello che preparato: si scopre infatti che Peter e Giada in passato sono stati insieme e che sono uniti da una comune dipendenza da sostanze. Ma per quanto i trailer lascino intendere intrighi amorosi e passionali cocenti, il motore sentimentale è in realtà molto ridotto. Certo, Peter sembra interessato a volersi “riprendere” Giada, ma si limita ad affermazioni molto vaghe a riguardo, preferendo spesso come movente il desiderio di sfondare nel mondo dell’arte. Per Giada, lasciare Carlo non è mai un’opzione e anche nei momenti più critici non c’è mai nessun disturbo tanto forte nella relazione da farci veramente credere che ci sarà una rottura. Paradossalmente, i due attori di questo triangolo dotati di maggiore chimica sono Scarpetta e Giannini, eppure il potenziale del loro legame non viene mai approfondito oltre qualche insinuazione di Giada ed una virata totale su una dinamica di potere tra artista affermato ed artista in affermazione.

Il focus parrebbe allora essere, piuttosto, l’atteggiamento sempre più intrusivo ed inquietante di Peter nei confronti della coppia, atteggiamento che diventa vero e proprio stalking. Ma persino questo conflitto perfettamente funzionale sembra non essere stato considerato sufficiente a reggere in piedi un intero film. Ed ecco allora che a tutto questo si aggiunge anche il mistero della sparizione nel nulla di una ragazza, tale Maria Tanner, sul monte del Circeo. Una sparizione, quella di Maria, che iconograficamente deve tutto a Picnic ad Hanging Rock, a partire dalla misteriosità del fatto alla location all’aspetto della ragazza, e se la citazione non fosse evidente il copione si premura anche di segnalarlo per gli spettatori meno attenti.

E ancora, come non affrontare in maniera assolutamente poco relatable, per lo spettatore medio, il mondo dell’arte moderna, con conversazioni sulla difficoltà del processo creativo, sulla differenza tra arte commerciale ed arte “vera”, tutte per forza di cose tenute di fronte ad una cena a base di caviale e ostriche servita da una cameriera personale?

Questa quantità di input, uniti a diverse ingenuità nella sceneggiatura (Carlo e Peter chiamano Giada la ‘moglie’ del primo, eppure in una scena ci si riferisce alla donna come ‘futura moglie’) rendono Gioco pericoloso una visione alquanto sconclusionata e che sembra costruita interamente attorno al proprio climax. Certo, la risoluzione conclusiva che vede i protagonisti confrontarsi su una spiaggia in un’installazione di Peter è interessante, teoricamente, ma è anche non organica nella maniera in cui a quel punto si è arrivati

Come se non bastasse, poi, il finale dà al pubblico un’ultima stoccata che annulla totalmente tutto quello che si è visto fino a quel punto. Come si dice, “oltre al danno la beffa”.

Vero è anche che, per quanto la sceneggiatura sia una base di partenza debole, il comparto tecnico offre qualche guizzo interessante nell’uso delle luci e dei costumi (specialmente quelli di Elodie). Ma non bastano a sopperire a dei set visibilmente poveri né ad una storia debole nella struttura, con dialoghi che suonano datati e personaggi che restano sempre molto sulla superficie del carattere “base” assegnatogli. Quantomeno, nonostante la scrittura tutti e tre gli attori protagonisti si portano a casa un’interpretazione dignitosa.

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Silvia Strambi,
Redattrice.