Frammenti dal passato – Reminiscence è una creatura strana: l’esordio al cinema di Lisa Joy, sceneggiatrice e co-creatrice della serie tv Westworld, è stato un flop d’incassi nei giorni d’apertura, vittima anche di una campagna promozionale piuttosto mediocre.
Il fatto che sia stato pubblicizzato come “un film della creatrice di Westworld” non è solo marketing: come nella serie tv di HBO, in Reminiscence si nota la stessa impronta autoriale nel contaminare la fantascienza con generi cinematografici diversi (lì il western, qua il noir) per studiare psiche e ossessioni umane.
In un futuro non troppo remoto in cui le città sono allagate a causa del cambiamento climatico, l’investigatore privato Nick Bannister (Hugh Jackman) e l’amica Emily Sanders (Thandie Newton) sono specializzati nel far rivivere la memoria ai clienti con una particolare macchina per gli interrogatori, in grado di ricreare i ricordi in modo estremamente dettagliato – pure troppo: per poter funzionare, la macchina ha bisogno di generose sospensioni dell’incredulità da parte dello spettatore…
Quando l’amore della sua vita, Mae (Rebecca Ferguson), sparisce senza lasciare traccia, Nick ha bisogno del marchingegno per rintracciarla. Nella sua ricerca della donna amata, Nick scopre alcune verità su di lei ma anche sul mondo che abitano, popolato da agenti di polizia corrotti e ricchi senza scrupoli.
La prima metà del film fa presagire il peggio: la necessità di informare lo spettatore sull’ambientazione e sui personaggi si traduce in spiegoni forzati e in un inutile voice-over del protagonista. Anche l’uso diegetico della macchina dei ricordi, se all’inizio spiazza ed è inserito in modo intelligente nella narrazione (i ricordi del protagonista mascherati da racconto “in ordine cronologico”), ben presto appesantisce la storia invece di renderla più coinvolgente. Questa matrioska di ricordi e piani narrativi, resa letteralmente anche a livello visivo – l’investigatore che in una scena studia il ricordo di sé stesso che studia un ricordo altrui -, rischia di stufare ben presto; non aiutano le caratterizzazioni poco profonde di quasi tutti i personaggi.
Tuttavia, raramente come nel caso di Reminiscence un primo atto così pesante viene almeno in minima parte risollevato dal secondo. Liberatasi dall’obbligo di dover introdurre l’ambientazione futuristica, Lisa Joy trova nella seconda metà di film maggiore libertà nell’esplorare i suoi personaggi. Qui la sceneggiatrice riesce anche a stupire con alcune immagini davvero interessanti, come la grottesca ricostruzione in cui vive una ricca signora prigioniera della nostalgia, oppure una sequenza in un teatro allagato. Neppure qui funziona tutto: il film si sforza di far quadrare elementi senza motivo, richiamando personaggi e situazioni del primo atto in modo innaturale (come tante proverbiali pistole di Čechov che non avevano necessità di esistere), ma la sua dimensione di detective story dalla forte componente sentimentale acquisisce più spessore. Certo, non lesina nei cliché del genere – la femme fatale, il poliziotto corrotto, il ricco capitalista impunito, il detective disilluso, la sua collega alcolizzata -, trattati pure con estrema serietà, ma nonostante questo l’atmosfera e alcune scene riescono almeno in parte a coinvolgere lo spettatore.
La regia di Lisa Joy è buona: forse fin troppo semplice visto l’argomento trattato, ma riesce per la maggior parte a evitare gli stereotipi stilistici tipici di questo tipo di film preferendo porre l’accento sul lato sentimentale della vicenda, aiutata anche dalla colonna sonora essenziale di Ramin Djawadi e dalla fotografia pulita di Paul Cameron. In genere, l’esordio di Lisa Joy come regista di lungometraggi è buono ma senza particolari guizzi, e denota ancora una certa inesperienza con il medium.
Questo, purtroppo, ricade anche sul suo protagonista. Hugh Jackman ha dimostrato di saper offrire ottime interpretazioni con la giusta direzione, mentre qui sembra lasciato a sé stesso e risulta costantemente spaesato, senza il carisma che lo contraddistingue e al di sotto delle sue possibilità. Molto meglio Rebecca Ferguson: la sua inclinazione per le scene action la rende l’interprete ideale sia per l’azione che per il dramma. Peccato invece per Thandie Newton, buona attrice che interpreta un personaggio stereotipato e con poco spessore.
Nel complesso, Reminiscence non è brutto come si poteva facilmente presagire. In numerose occasioni si intravedono i pezzi che potrebbero comporre un ottimo film ma, messi assieme in questo, non sfruttano mai le capacità della sua regista e sceneggiatrice. È un intrattenimento cui non mancano il cuore né il cervello: quel che gli è mancato è la capacità di tradurre in uno script coerente tutte le sue ambiziose idee. E così rimane “solo” un discreto film che avrebbe dovuto offrire molto di più.
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