Spesso accade, quando sullo schermo viene decostruito un divorzio, che si inneschi un meccanismo narrativo molto simile al whodunit dei murder mystery. Il pubblico inizia un viaggio alla ricerca della prova, dell’indizio che smascheri il colpevole. Un altro punto comune però è rappresentato dal fatto che, altrettanto spesso, nella finzione come nella realtà questo sia impossibile da individuare. Il fulcro di queste narrazioni si sposta dunque sul punto di vista adottato. Fleishman a pezzi esordisce come un’investigazione sul matrimonio ma finisce per essere molto di più, prima di tutto uno studio teorico sulla prospettiva che, più volte, lungo il suo sviluppo ci lascia, appunto, a pezzi.
Citazionismi diffusi per millennial disillusi
In Fleishman a pezzi convivono anche le vite artistiche passate del cast, in un insieme di citazioni e collegamenti intertestuali- più o meno espliciti- che convergono a renderlo il prodotto perfetto per rappresentare millennial in crisi. Lo spettatore si ritrova a dover fare i conti con i personaggi della propria adolescenza, forse un pò più invecchiati, ma non per questo più risolti. Uno su tutti è Adam Brody che interpreta un broker immaturo, apparentemente salvo dalle complicazioni che abitano le vite dei suoi amici, di nome Seth, come il personaggio che lo ha consacrato in The O.C. Chi impersona questa sensazione al meglio è però Lizzy Caplan – conosciuta dietro i banchi di scuola di Freaks and Geeks e Mean Girls – a cui viene affidato il personaggio narrante, protagonista al tempo stesso di una personale ricerca del tempo e delle ambizioni perdute.
All’esordio della serie Toby Fleishman, epatologo sull’orlo di una promozione -come anche di una crisi di nervi-, afferma che ciò che maggiormente lo affascina del fegato sia la sua capacità unica di rigenerarsi, caratteristica che si trova, quindi, insita nell’uomo e a cui lui stesso dovrà imparare ad affidarsi, in questo momento più che mai. Solo per la prima volta in quindici, dopo la separazione da Rachel, agente teatrale di grande successo, Toby vive una realtà capovolta in cui fatica a conciliare quello che resta della sua vita famigliare con la nuova versione di sé che si rivela essere sorprendentemente di successo sulle dating app. Soprattutto quando una notte Rachel abbandona i figli a casa sua per non tornare a riprenderli nei giorni successivi.
Un coming of age in incognito
Ciò che c’è di interessante in Fleishman a pezzi si svolge lontano dalle fantasiose, quanto inevitabili, elucubrazioni di Toby riguardo quello che possa essere realmente successo a Rachel. L’unico reale mistero che si tenta di risolvere nella serie, come nel romanzo, è la capacità delle persone di affrontare cambiamenti drammatici, resistere a colpi apparentemente definitivi, uscendone infine sempre sé stessi. Fleishman a pezzi raccoglie sapientemente l’eredità delle storie di newyorkesi ebrei tendenzialmente sfigati a cui ammicca il titolo italiano e ribalta l’atteso in favore dell’inaspettato, rivelando qui il suo punto di forza.
Lo sguardo si fà sempre più introspettivo e la narrazione si stratifica con l’incedere delle puntate, dando finalmente spazio al femminile – mai realmente assente – attraverso la prospettiva di Libby, scrittrice in potenza da praticamente tutta la vita, riciclata a casalinga del New Jersey. Che sia Libby a narrare la storia è quanto di meno scolastico possibile, qui non c’entra nulla l’empowerment femminile da manuale pop perché Libby le donne non le capisce, almeno le donne che la circondano. Se Rachel le è sempre apparsa troppo egoriferita per interessarsi alle persone attorno a lei, le madri del New Jersey sembrano dedicare alla famiglia tutta la loro vita, sacrificando totalmente la propria individualità. I suoi legami significativi sono solo con uomini, pratica empatia e comprensione esclusivamente nei loro confronti, li ammira, li invidia e talvolta li detesta ma li considera.
Come spesso accade quando si ascoltano due versioni della stessa storia i ruoli non sono mai statici ed anche in questo caso si conferma la regola secondo la quale gli eroi si rivelano essere al tempo stesso i più spietati antieroi. Ad oscillare, contaminarsi e a mescolarsi fino a diventare indistinguibili sono anche generi e toni, il grido prima soffocato e poi disperato di Rachel stona in modo quasi comico con il resort extralusso in cui è immersa; l’ambiente in cui dovrebbe ritrovare la pace non rappresenta altro che tutto quello da cui si è lasciata, volutamente, ingabbiare.
Fleishman a pezzi non è un coming of age, per ovvie ragioni anagrafiche, ma lo vorrebbe disperatamente essere, lo vorrebbe quasi quanto i suoi protagonisti che per tutte le otto ore di durata della serie rincorrono l’impossibilità di voltarsi, di tornare indietro, per riconnettersi con una versione di sé di cui hanno un ricordo nitido ma che al tempo stesso non riescono più a trovare. La serie è anche questo, una storia sul desiderio di tornare all’adolescenza, alla libertà data dall’assenza di obblighi nei confronti degli altri, a una sigaretta fumata davanti al cinema nella città dei tuoi vent’anni.
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