Flee è un film d’animazione del 2021 diretto da Jonas Poher Rasmussen e prodotto da Vice media. L’opera potrebbe anche essere inserita nella categoria documentario data la natura del prodotto: un racconto attraverso i ricordi di Amin Nawabi, sdraiato su un mobile e con sopra di sé una telecamera, come fosse il soggetto di una seduta di psicanalisi.

Il film presenta salti temporali continui tra passato e presente, così da farci capire qual è la situazione di Amin nella contemporaneità. Flee vuol dire fuggire, una parola che riassume perfettamente la vicenda che vede coinvolto il protagonista, una storia che richiama gli affetti di un uomo costretto a nascondersi, a sentirsi sbagliato in quanto afgano e omosessuale. La storia di Amin cattura sin da subito lo spettatore in sala, poiché prende le sembianze di una piacevole rimembranza sulle note di Take on me degli a-ha e di un affresco della capitale afghana, Kabul.

L’inizio e la fine del film sono  molto più lieti rispetto al contenuto della parte centrale, in cui apprendiamo le tristi vicissitudini della sua famiglia, i problemi causati dalla guerra civile negli anni 90’ e il desiderio di fuggire per poter ricominciare da zero. La fuga però non è una cosa semplice: richiede tempo, denaro e molta pazienza, cosa non facile per chi fugge dagli orrori della guerra. Amin è solo un ragazzino quando scappa insieme alla famiglia dall’Afghanistan, si ritrova presto adolescente quando sbarca a Copenhagen, luogo da cui racconta la sua storia, dopo anni di menzogne.

Amin ci permette di inquadrare il contesto storico-sociale in cui si collocano gli eventi da lui narrati, all’indomani del crollo dell’Unione sovietica e della caduta del muro di Berlino, con conseguente fine della guerra fredda e l’inizio di un periodo di grandi tensioni in Medio Oriente con il coinvolgimento in prima linea degli Stati uniti d’America. Il caso vuole che l’uscita del film nelle sale italiane coincida con le vicende recenti dell’invasione dell’Ucraina da parte della federazione Russia, dunque un ottimo strumento di riflessione e sensibilizzazione sulla guerra, sulle sue conseguenze e sulle condizioni di precarietà dei rifugiati.

Il personaggio di Amin afferma di essersi vergognato della sua omosessualità, altra tematica significativamente importante nell’economia narrativa.
Sin da subito il regista, suo migliore amico, ci mette nelle condizioni di conoscere la sensibilità del personaggio, nonché il fardello che ha dovuto portare con sé per tanto tempo, a causa della sua cultura e tradizione, esplorando il passato dell’uomo e permettendoci di empatizzare con lui. Lo spettatore è così portato a fare un passo avanti e comprendere cosa ha rappresentato per Amin essere un rifugiato e un omosessuale allo stesso tempo, soggetto a potenziali discriminazioni ogni giorno. 

Flee riesce a commuovere, a strappare un sorriso di solidarietà e affetto sincero verso Amin e il popolo afgano. Lo spettatore esce dalla sala con una consapevolezza in più, una visione dall’alto rispetto alle stragi di guerra e alle storie che si celano dietro quei volti impauriti di donne, uomini e bambini, spesso filtrati da uno schermo televisivoDa un punto di vista tecnico l’opera è nel complesso piuttosto piacevole e per niente disturbante, con l’alternarsi di scene d’animazione e riprese reali che ci ribadiscono la natura del prodotto: un documentario dai tratti e archetipi narrativi tipici di un film di finzioneLa tecnica di animazione utilizzata è molto interessante perché differisce dai film di questo genere: i personaggi sono più limpidi e chiari quando Amin racconta degli eventi che rientrano nella quotidianità o di cui ha una ottima memoria, mentre diventano confusi, sfumati, quasi dei bozzetti, quando la situazione è più vaga o cupa, difficile da raccontare. Non è un caso che il film ha ricevuto tre candidature (più che meritate) agli Oscar 2022 nella categoria miglior film d’animazione, miglior documentario e miglior film straniero

Il film uscirà nelle sale italiane il 10 marzo 2022. 

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Sal Guida, Redattore