“We’re bad feminists”. Queste poche parole, che Fleabag – protagonista dell’omonima serie tv scritta e interpretata da Phoebe Waller-Bridge – pronuncia appena cinque minuti dopo l’inizio, stabiliscono il tono dei successivi dodici episodi delle due stagioni, che sono una ventata d’aria fresca nel panorama della serialità televisiva. Acclamata da pubblico e critica, Fleabag è tratta dallo spettacolo teatrale omonimo del 2013, e ha portato all’attenzione del grande pubblico l’enorme talento della Waller-Bridge. L’attrice e sceneggiatrice si era già fatta notare per la miniserie Crashing (ora disponibile su Netflix), altra piccola perla da lei scritta e interpretata, e il suo talento era stato poi ulteriormente confermato dalla serie Killing Eve e da altri lavori.
Dark comedy dai tratti sperimentali per gli standard televisivi, la prima cosa da dire su Fleabag è che fa genuinamente ridere di gusto, almeno tanto quanto fa anche piangere e riflettere. Il talento comico della Waller-Bridge funziona alla perfezione, è apparentemente naturale, sia nella scrittura che nell’interpretazione, e giunge inaspettato attraverso situazioni e personaggi surreali. La protagonista è una giovane donna sulla trentina che porta con sé il trauma dalla morte della sua migliore amica, e che conduce una vita irregolare e disfunzionale per la quale è costantemente giudicata da quasi tutti gli altri personaggi (tranne alcune importanti eccezioni), che dall’alto della loro presunta normalità la reputano vergognosa e sbagliata, una macchia da nascondere e alla quale non essere associati. Fra tutti questi personaggi grotteschi quello che spicca, anche grazie alla magistrale interpretazione di Olivia Colman, è quello della matrigna di Fleabag e di sua sorella Claire. Performer di eccellenza di questa società finta e superficiale, la matrigna si nasconde in una normalità che non esiste ma lascia trapelare un velo di isteria sotto la voce impostata e l’apparente stabilità, ed è un’artista egocentrica che, per dirne una, crea una mostra sulla sua vita sessuale, la “Sexhibition”, e si finge femminista e alternativa, ma che in realtà è ancora più ingabbiata nella recita che si è costruita e non può che essere definita, usando appellativi gentili, come cattiva, perfida e manipolatrice. L’uso di questi aggettivi associato al personaggio della matrigna (della quale fra l’altro non verremo mai a sapere il nome) fa intuire quanto la Waller-Bridge lavori su moltissimi livelli diversi, decostruendo, ricostruendo e intrecciando temi culturali in maniera tanto intelligente da sorprendere lo spettatore più attento, facendone vero e proprio spettacolo.
Altra caratteristica interessante dal punto di vista formale è stata la scelta, ampiamente discussa, della costante rottura della quarta parete da parte della protagonista, che dialoga con noi spettatori, suoi “amici segreti”, per commentare ironicamente la vicenda. Anche questo elemento viene spinto ai suoi limiti estremi quando, nella seconda stagione, il personaggio del Prete, con il quale Fleabag stringe un’improbabile rapporto, si rende conto del fatto che la donna a volte va “da un’altra parte”, e per un attimo guarda anche lui in camera, facendo sussultare lo spettatore, che vede così scoperta la sua natura voyeurista.
Tema costante della serie, come appare chiaro già dai primi minuti, proprio quello del femminismo, affrontato in maniera sempre molto sottile, acuta e intelligente e senza mai cadere nel didascalico. In primis è evidente la critica e la presa in giro verso un certo tipo di femminismo (che in realtà di femminista non ha niente) patinato, moralista ed edulcorato, che predica una perfezione alla quale la protagonista, e come lei molti altri, proprio non appartiene. Lei è imperfetta e questo la separa dal resto di un mondo che finge costantemente di essere qualcosa che non è. Di fronte a persone che si sforzano di nascondere le crepe delle loro esistenze, Fleabag è semplicemente sé stessa, anche se questo la porta a combinare una marea di errori nella sua vita. Ma del resto “le persone fanno errori, per questo si mettono le gomme sulle matite”, proprio come viene ricordato in uno dei più toccanti passaggi profondamente emotivi della serie, che fra le sue mille sfaccettature conserva anche un posto per questo tipo di tono.
Prodotto straordinario su molti livelli, Fleabag sarà difficilmente replicabile dalla sua stessa autrice e interprete – che nel frattempo si è infatti dedicata ad altri tipi di progetti – e costituisce un’eredità ingombrante, ma anche un punto di partenza estremamente ricco con cui confrontarsi per coloro che vorranno continuare il discorso.
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