The bird a nest, the spider a web, man friendship.
William Blake

Con questo aforisma si apre First Cow, settimo lungometraggio di Kelly Reichardt, una delle voci più pure e sincere del cinema indipendente americano. Presentato in concorso alla Berlinale 2020, dalla quale è uscito scandalosamente senza premi, il film della Reichardt si è subito imposto come una delle pellicole più belle del suo anno, ma in Italia è arrivato solo il 9 luglio 2021, distribuito direttamente in streaming su MUBI. 

Il film, tratto dal romanzo The Half-Life di Jonathan Raymond (anche sceneggiatore con la regista), si ambienta – fatta eccezione per un breve prologo – a metà Ottocento nel Territorio dell’Oregon, dove il cuoco Otis «Cookie» Figowitz, al seguito di un gruppo di cacciatori di pellicce, fa la conoscenza del cinese giramondo King-Lu, ricercato per omicidio da una comitiva di russi. I due diventano amici e, quasi per caso, fanno fortuna iniziando a vendere delle deliziose frittelle prodotte con il latte di una splendida vacca marrone, la prima mucca mai giunta nell’Oregon direttamente su una chiatta da San Francisco. 

First Cow è un western nel senso più puro del termine. Si nutre infatti del mito della Frontiera e di un tempo in cui, sotto il “grande cielo” americano, la vita scorreva a ritmo compassato e si ponevano le basi del sogno capitalista statunitense. La Reichardt, in un certo senso, ne racconta le origini e concentra la sua attenzione sulla tenera amicizia – la vera casa dell’uomo, come suggerito dalla citazione di William Blake – che nasce tra i due pionieri protagonisti e che è il terreno fertile su cui si fonda la loro attività economica. Narra di un’America perduta che poggiava su un profondo senso di solidarietà umana oltre che, già allora, su qualche sotterfugio (Cookie e King-Lu rubano il latte al fattore interpretato da Toby Jones).

La Reichardt, così facendo, mette in scena un’amicizia maschile che di virile non ha nulla. La sensibilità del rapporto tra i due protagonisti rimanda, al contrario, a un universo femminile (tipico della regista) che ricorda, per certi versi, la relazione tra John C. Reilly e Joaquin Phoenix ne I fratelli Sisters di Jacques Audiard, altra storia western su due “fratelli-sorelle”. First Cow, in tal senso, è un western moderno che abbatte gli stereotipi del genere, primo fra tutti il machismo degli eroi classici del filone, dal momento che propone una moderna coppia di amici inseparabili (l’inquadratura finale del film è emblematica) che rimanda quasi agli shakespeariani Rosencrantz e Guildenstern (e ai meravigliosi Gary Oldman e Tim Roth protagonisti del troppo dimenticato film di Tom Stoppard a loro dedicato). Non c’è nemmeno epicità nel “vecchio West” della Reichardt, solo il piacere di un cinema lieve, di ispirazione picaresca (in tal senso il film recente che più può assomigliargli è La ballata di Buster Scruggs dei fratelli Coen), sensibilissimo – si pensi solo alle scene notturne in cui Cookie parla alla mucca: momenti di grandissimo cinema –, colmo di umana partecipazione al destino dei propri protagonisti, anche nei suoi sviluppi più tragici.

Ciò che colpisce, però, sono anche il ritmo e lo stile con cui la Reichardt porta avanti la narrazione. Il film è lento, vive di silenzi e sospensioni e trascina lo spettatore in un mondo ormai scomparso, che è evocato con straordinario realismo e vividezza. Le atmosfere del film sono ovattate e la regista ambienta quasi tutta la pellicola in un sottobosco autunnale, umido, fungino, fuori dal tempo e dallo spazio, che stimola e coinvolge lo spettatore anche da un punto di vista tattile e olfattivo. Scena dopo scena si rimane avvinti dalla pellicola e dalla meraviglia delle sue immagini. La fotografia di Christopher Blauvelt, che opta per il formato “quadrato” 1,37:1 al fine di esaltare la forte componente pittorica dei fotogrammi, è semplicemente straordinaria, tutta sui toni del marrone e del verde. La sua ispirazione è, probabilmente, l’opera dei grandi paesaggisti americani della Hudson River School e del suo fondatore Thomas Cole. La Reichardt e Blauvelt, infatti, costringono gli spazi aperti dell’Oregon in un formato piccolo e quasi claustrofobico, esaltandone le luci fredde e la composta bellezza che ospita le gesta dei due (anti)eroi protagonisti e la regista adotta una messa in scena di grande classicità formale, componendo con estrema cura ogni inquadratura. Non stupisce, in tal senso, che il film sia dedicato a Peter Hutton (1944-2016), regista sperimentale noto per i suoi film muti dedicati al racconto di paesaggi urbani e non. 

Un fotogramma dal film.

Thomas Cole. North Mountain and Catskill Creek, 1838. Olio su tela. Yale University Art Gallery. 

Charles Baker. River Landscape with Cattle, 1863. Olio su tela. Collezione privata. 

Questo articolo è stato scritto da:

Jacopo Barbero, Vicedirettore