Doverosa premessa. Se è vero che un libro non si giudica dalla copertina, è altrettanto vero che un film non dovrebbe essere giudicato prima della visione basandosi unicamente sulla locandina e su poche immagini promozionali. Eppure, accostarsi all’ennesima pellicola la cui immagine promozionale è un fiero e un po’ ammaccato last survived man (con tanto di cane al seguito e città diroccata alle spalle) senza uno sguardo viziato non è sicuramente semplice.

Il film in questione è Finch, diretto dall’inglese Miguel Sapochnik – noto principalmente per i suoi lavori televisivi (tra gli altri parte di Game of Thrones) – e disponibile su Apple Tv+ dal 5 novembre. Nelle vesti del sopravvissuto questa volta c’è Tom Hanks, che interpreta proprio il Finch del titolo, ovvero uno dei pochi uomini sopravvissuti a una tempesta solare che ha reso la Terra arida e inospitale.

L’innesto della narrazione è dato da una fuga dal tempo e contro il tempo, che costringe Finch ad abbandonare la sua casa di fortuna ma ultra equipaggiata per mettersi su strada e trovare un nuovo posto sicuro per sé e la sua “famiglia”. Ad accompagnarlo ci sarà il fedele cane Goodyear, un ubbidiente robot che richiama – e non poco – un certo WALL-E, e il neonato Jeff, umanoide onnisciente di fresca costruzione, che tutto conosce salvo che le sottigliezze e le fragilità della natura umana. La bizzarra famiglia, incalzata dalle precarie condizioni climatiche in cui il pianeta è sprofondato, intraprende quindi un viaggio on the road. Finch, a bordo del suo van a pannelli solari, rincorre la sopravvivenza con il prezioso aiuto di Jeff, l’essere più simile a una persona con cui si rapporti da anni, e, mentre il robot impara a vivere, Finch sembra dover reimparare le basi dei rapporti umani.

Il film, girato nel 2019 ma in fase di gestazione dal 2017, era inizialmente destinato alle sale, ma la pandemia e le conseguenti difficoltà del settore l’hanno relegato ad un’uscita su piattaforma, cosa che probabilmente ne compromette in parte la visione. Infatti, seppur sia ben distante dal portare al pubblico qualcosa di visivamente nuovo, l’unione di desolati scenari post apocalittici con i tipici campi lunghi da road movie avrebbe sicuramente tratto beneficio dalla visione su grande schermo.

Oltre agli scenari, anche ambientazioni e mezzi (tecnologici e di trasporto) vivono di richiami, tant’è che fin dalle prime scene l’impressione di essere di fronte a qualcosa di già visto e rivisto è davvero forte. Questa sensazione è ulteriormente appesantita da una sceneggiatura un po’ banale, priva di spunti di riflessione nuovi o quanto meno degnamente approfonditi, e che non riesce a catturare veramente lo spettatore neanche nei momenti di maggior tensione.

La tematica della fiducia, più volte ripresa, è abbozzata e trattata in maniera didascalica, quasi appiccicata in maniera posticcia allo scheletro narrativo nel film. Lo stesso vale per il tema della figura paterna, toccato dal racconto del vissuto personale di Finch e suggerito anche nella costruzione del suo rapporto con Jeff, resta un tema per lo più inesplorato ma che, se ben sfruttato, avrebbe potuto costituire un degno fil rouge per la narrazione.

Anche i pochi interpreti sono penalizzati da un disegno generale piuttosto scarno e da dialoghi che di poco si spostano dalla superficie. Tom Hanks non è al meglio della sua forma, e, complice anche una scrittura densa di clichè, non risulta del tutto credibile nel dar forma a un personaggio (nonché unica figura umana presente nel film) davvero poco approfondito. Paradossalmente il personaggio meglio riuscito è quello del robot Jeff (al quale Caleb Landry Jones presta le movenze), con cui a tratti ci si ritrova inaspettatamente ad empatizzare. L’accoppiata tra un moderno Cast Away e questo bambinone robotico rende la pellicola godibile nonostante tutto, e regala sia momenti dai risvolti “comici” sia momenti che, quantomeno nelle intenzioni, tendono alla commozione.

Il comparto tecnico resta composto e senza sbavature, e la fotografia, che pesca da varie suggestioni più o meno recenti, è quella classica degli spazi ampi da road movie.

In definitiva Finch è un film senza troppe pretese che, seppur godibile, non aggiunge nulla di nuovo al panorama del cinema science fiction, mettendoci di fronte all’ennesimo dramma post apocalittico di cui forse non sentivamo il bisogno.

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Anna Negri, Caporedattrice