Presentato in concorso all’80ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Finalmente l’alba è il nuovo film di Saverio Costanzo – che firma anche la sceneggiatura – al suo ritorno alla regia di un lungometraggio dopo Hungry Hearths (2014), film presentato sempre nell’ambito della kermesse veneziana e che era valso la Coppa Volpi ai protagonisti Adam Driver e Alba Rohrwacher.

Pur restando a secco di premi al termine del festival lidense, Finalmente l’alba ha catturato l’attenzione di pubblico e critica per il suo forbito cast internazionale, inusuale – ma non raro – in produzioni italiane. Accanto alla debuttante Rebecca Antonaci (interprete della protagonista Mimosa) troviamo Lily James (Downton Abbey, Cenerentola) nei panni della star Josephine Esperanto, Joe Keery (Stranger Things, Fargo) quale interprete dell’attore hollywoodiano Sean Lockwood, Rachel Sennott (Shiva Baby, Bottoms) nei panni dell’aspirante stella del cinema Nan Roth, e Willem Dafoe (Povere Creature!, Nightmare Alley) quale gallerista italo-americano Rufo Priori.

Il caso Montesi

Si dice che ogni regista, presto o tardi, desideri realizzare un film dedicato al cinema: che sia un’opera dedicata alla storia della Settima Arte – come è stato per Martin Scorsese con Hugo Cabret (2011) – o un lungometraggio che rifletta, a ritroso, sulle motivazioni profonde della personale devozione verso il cinema – È stata la mano di Dio (2021) di Paolo Sorrentino ne è un buon esempio – i casi sono, ad oggi, molteplici. Questo momento è arrivato anche per Saverio Costanzo, il quale sceglie il periodo di massimo splendore per Cinecittà, uno dei luoghi sacri per cineasti e cinefili, per condurre la propria riflessione metacinematografica. Mimosa è una giovane timida e impacciata, promessa sposa a un ragazzo che non desidera: per una coincidenza fortuita, la ragazza e la sorella vengono notate alla fine di una proiezione cinematografica e si ritrovano a fare da figuranti in un kolossal americano ambientato nell’Antico Egitto, le cui riprese finali si stanno svolgendo negli spazi di Cinecittà. Ma se la sorella Iris viene assunta come figurante nella scena di massa, Mimosa viene selezionata per interpretare il più “nobile” ruolo di ancella della Faraona, interpretata dalla star del cinema hollywoodiano Josephine Esperanto. Quest’ultima, probabilmente incuriosita dall’innocenza della giovane, decide di includere Mimosa nella sua ultima nottata romana, nel corso della quale la ragazza scoprirà i lati più oscuri del jet-set intellettuale romano.

Oltre alla componente finzionale, predominante nel film, Saverio Costanzo sceglie di includere personaggi e fatti di cronaca contemporanei all’epoca nella quale è ambientato il film: in Finalmente l’alba assume un ruolo fondamentale il caso dell’omicidio (irrisolto) di Wilma Montesi, giovane aspirante attrice ritrovata deceduta sulla spiaggia di Torvaianica; la tragica morte della ragazza, che non pare sfiorare le sregolate feste che animano le notti romane, colpisce profondamente Mimosa, che in Wilma intravede non solo la demistificazione della magia del cinema, ma anche un riflesso di sé stessa, l’esito tragico che potrebbe avere la sua stessa storia. Questo parallelismo tra Mimosa e Wilma è, in effetti, l’unico elemento che funziona in Finalmente l’alba, l’unico che avremmo voluto vedere sviluppato maggiormente nel corso del film, ma che risulta, alla fine, quasi casuale, se non forzato. Seppur dichiarando il proprio rispetto nei confronti della giovane tragicamente deceduta, Costanzo non solo si limita al (banale) rispecchiamento fra le sorti di Mimosa e Wilma, ma tratta il caso Montesi come un fatto ben noto al pubblico contemporaneo: inserendo un personaggio come Piero Piccioni nella terzo atto del film in maniera del tutto fortuita, Costanzo presuppone che lo spettatore medio conosca il suo coinvolgimento nelle indagini riguardanti il caso Montesi; certamente un riferimento che parla più al pubblico del tempo che a quello di oggi.

Belli, spietati e cattivi

Oramai la rappresentazione dell’industria cinematografica come una bolgia di attori spietati e arrivisti è divenuta un topos: Finalmente l’alba non fa eccezione, e così i meccanismi che compongono la “macchina del cinema” nel film di Costanzo fagocitano ogni barlume di innocenza proveniente dal “mondo reale”. Tutti i personaggi che gravitano intorno a Cinecittà e ai luoghi nei quali prolunga la sua ombra sono cattivi (ma deboli, un binomio che ricorre ampiamente nelle pellicole degli ultimi anni): l’unico che dimostra un briciolo di umanità, soprattutto nei confronti di Mimosa, è il Rufo Priori di Willem Dafoe; e, aggiunge chi vi scrive, l’unico interprete degno di nota all’interno del film. I personaggi di Costanzo non solo reiterano un topos antico quanto la storia del cinema, ma sono incarnati da attori adottano uno stile recitativo basato sulla monoespressività: Lily James si sforza nel vestire i panni dell’attrice consumata dallo sguardo austero; Joe Keery (del tutto fuori luogo nelle vesti di attore degli anni Cinquanta) non va oltre la sua interpretazione già corroborata in Stranger Things. La stessa protagonista Rebecca Antonaci, nei panni di Mimosa, reitera uno sguardo languido nel corso del film che, all’inizio del quarto atto (quando l’alba è finalmente giunta), risulta oltremodo stucchevole; anche Alba Rohrwacher, ivi interprete dell’attrice Alida Valli, risulta sottotono nei panni di un personaggio che non aggiunge alcunché alla trama del film.

Pur criticando un sistema corroso dall’arrivismo e dalla dissolutezza, Saverio Costanzo non si discosta molto dalle sollecitazioni intellettuali che Federico Fellini aveva avanzato nel suo capolavoro La dolce vita (1960): i riferimenti alla pellicola del regista riminese sono più che evidenti, e non apportano alcuna novità alla cerchia di film focalizzati sulle gioie e sulle miserie di Cinecittà; anche il riferimento al caso Montesi rappresenta un chiaro rimando a La dolce vita, film che, dal canto suo, elabora più sapientemente la metafora della perdizione di cui l’industria cinematografica italiana (e la sua affine cerchia intellettuale) è adombrata (molti critici sostengono che il mostro marino arenato sulla spiaggia di Ostia, alla fine del film di Fellini, sia una rielaborazione metaforica del cadavere di Wilma Montesi).

Un corrosivo didascalismo

Se con Finalmente l’alba Saverio Costanzo intendeva elaborare il “suo” film metacinematografico, assoldando un cast internazionale per smarcarsi dagli stilemi tipici di un buon prodotto Rai televisivo, duole asserire che la pellicola non raggiunge quell’impatto sperato: a compromettere ulteriormente il buon esito del film, oltre a quanto evidenziato finora, è sicuramente l’imperante didascalismo che caratterizza ogni scena della pellicola, dal primo all’ultimo atto. Il risultato finale è una reiterazione, in quasi due ore di lungometraggio, di concetti e riflessioni che non apportano nulla di significativo al genere.

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Shannon Magri,
Redattrice.