Con Ferrari Michael Mann torna sulle scene internazionali dopo ben otto anni dal suo Blackhat. Il film è presentato in Concorso alla 80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed è l’adattamento del romanzo Enzo Ferrari: The Man, The Cars, The Races, The Machine di Brock Yates.
Come il libro da cui è tratto, Ferrari non racconta l’intera biografia dell’imprenditore italiano (interpretato da Adam Driver) ma decide di soffermarsi soltanto su una sua parte, in particolare il 1957 quando è ormai un ex pilota in crisi con l’ombra del fallimento incombente sull’azienda, che dirige assieme alla moglie Laura Garello (Penélope Cruz), a cui si aggiunge la tragedia della morte del figlio Dino stroncato appena un anno prima da una distrofia muscolare, a soli ventiquattro anni. Il film narra anche il rapporto del Commendatore con Lina Lardi e la pericolosa corsa che la casa Ferrari tenta coi suoi piloti nel maggio del ‘57, la Mille Miglia.
L’uomo dietro al Cavallino
Il Cavaliere, Il commendatore (fu nominato Cavaliere di Gran Croce dell’OMRI nel luglio del ‘57), L’Ingegnere, Il Mago di Maranello, Il Patriarca, Il Grande Vecchio, Il matto (Al mat in dialetto modenese) oppure anche Il Drake (facendo riferimento al famoso corsaro inglese Francis Drake), non si riescono a contare tutti i soprannomi affibbiati al capoccia del Cavallino, una delle personalità del ‘900 italiano attorno a cui – più di tanti altri – si è creato l’alone mitico che Michael Mann ha compreso adattarsi bene al racconto su grande schermo. Ferrari indossava sempre gli occhiali da sole per “non farsi guardare dentro” perché “solo attraverso gli occhi si può”, e quindi chi era il Drake secondo il regista di Heat – La sfida? Il film riserva soltanto i pochi minuti dell’incipit al Ferrari-pilota, con Driver che sfreccia in bianco e nero sulle auto da corsa degli anni ‘20, ma nei restanti 125 non troviamo nemmeno l’imprenditore, l’ingegnere automobilistico, o l’agitatore di uomini e di talenti (come amava definirsi), semmai soltanto un sessantenne narcisista sopravvissuto a due guerre mondiali, molteplici crisi finanziarie e altrettanti incontri con la morte che hanno contribuito a costruire il culto del brand Ferrari al di là dei successi su pista (rinomatamente molto inferiori rispetto a quelli di tante altre scuderie meno famose).
Al Commendatore non andò mai giù quel “no” della Fiat agli albori della sua carriera da pilota e infatti viene presentato come una persona in cerca di riscatto, di rivalsa nei confronti di tutte le altre case automobilistiche ma poco curante dei suoi collaboratori, un po’ donnaiolo e algido anche con l’unico figlio rimasto, Piero, di cui fatica a soddisfare persino la semplice richiesta di avere l’autografo del pilota Alfonso de Portago, con cui Enzo è a contatto ogni giorno. Nel suo essere persona determinata e calcolatrice, Ferrari è anche estremamente solo e chiuso in sé stesso, segnato indelebilmente dalle morti del padre e del fratello maggiore avvenute a brevissima distanza nel 1916.
Il requiem di Michael Mann
In una scena con protagonista la magistrale Penélope Cruz, il suo personaggio spara con grande nonchalance appena sopra la spalla del marito Enzo, quasi per gioco, come mero atto ironicamente intimidatorio; non è un caso che il colpo sia sparato con tale facilità e disinvoltura: la morte è cosa comune per la famiglia Ferrari e soprattutto per Enzo, su cui aleggiava anche nel ‘33 quando gli amici e piloti Mario Umberto Borzacchini e Giuseppe Campari, citati nel film, morirono sulla pista dell’Autodromo di Monza scivolando in curva su di una macchia d’olio. Ma non solo, la fame di successo di Ferrari richiedeva ai piloti di spingersi fino al limite come successe a Eugenio Castellotti, di cui vediamo la morte nel marzo del ‘57 durante una sessione di prove private sull’Autodromo di Modena; forse non è un caso che all’inizio del film venga ripetuto come una minaccia il nome di Jean Behra, pilota che morirà sul circuito dell’AVUS durante il Gran Premio di Germania due anni dopo, nel 1959, e che nel film rappresenta inizialmente la paura esterna più grande per la scuderia Ferrari, la Maserati.
Enzo si reca quotidianamente alla tomba del figlio Dino per confidarsi con lui e ricordare ogni giorno la scomparsa sua e del padre; ricordi funerei che incatenano il Drake a un passato che non potrà mai più riavere indietro e simboleggiato anche dalla guida che ancora Enzo adotta alla macchina, quella sportiva con cui gareggiava trent’anni prima. Morte che raggiungerà Ferrari soltanto alla veneranda età di novant’anni e che noi non vedremo mai nel film, dove si sceglie intelligentemente e simbolicamente di ambientare tutto nel ‘57 e terminare infatti con la tragedia di Guidizzolo avvenuta durante la Mille Miglia, dove perse la vita il pilota Alfonso de Portago – proprio il pilota il cui autografo era bramato dal piccolo Piero Ferrari – assieme al copilota Edmund Gurner Nelson, e dove morirono nove spettatori tra cui cinque bambini, oltre a numerosi feriti.
Il Commendatore venne incriminato e rinviato a giudizio per l’incidente, ma infine assolto. Cosa che invece decide di non fare Michael Mann, dipingendo con toni talvolta lirici – guardacaso ci sarà anche un sipario a teatro – una famiglia condannata, maledetta, a cui viene dedicato un requiem mai assolutorio ma terribilmente cinico, tetro e tragico.
Ferrari uscirà nelle sale italiane il 30 novembre 2023.
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