Micaela Ramazzotti esordisce alla regia con Felicità, presentato nella sezione Orizzonti Extra durante l’80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. La storia è quella di Desirè (interpretata da Ramazzotti stessa), una acconciatrice che lavora nel mondo del cinema. Proveniente da una famiglia di borgata molto conservatrice, composta dai genitori di mezza età (Max Tortora ed Anna Galiena) e il fratello minore Claudio (Matteo Olivetti), Desirè se ne è allontanata appena compiuti i 18 anni, ma continua ad essere risucchiata all’interno del nucleo famigliare nonostante le diatribe col compagno Bruno (Sergio Rubini). L’ultima occasione è il tentato suicidio del fratello, che apre una voragine ancora più profonda in una famiglia già a pezzi.
Con Felicità Ramazzotti debutta nel segno del cinema impegnato, o meglio, del cinema che parla, più o meno bene, di argomenti ‘impegnati’ e particolarmente topici. Ne è una prova già la scena iniziale, nella quale la protagonista ci viene presentata mentre, lavorando, viene molestata da uno degli attori sul set. La scena presenta un interessante contrasto visivo tra il mondo quasi favolistico del cinema, e l’atmosfera sul set rappresentata dalla tentata violenza su Desirè. Il momento successivo in cui, quando ne parla col suo compagno, questo si lamenta del fatto pregandola di ‘cercare di evitare che succeda di nuovo’, o quantomeno di non fargli parola di eventuali nuovi abusi, provoca ancora più rabbia perché ricalca delle argomentazioni addotte da chi colpevolizza la vittima per la violenza subita che ormai conosciamo a menadito.
Un tema certamente importante e sentito, specialmente post MeToo, quello dello sfruttamento sul posto di lavoro nel mondo del cinema e dell’abuso che si cela dietro un’industria capace di produrre tanta bellezza, e potenzialmente ricco di molti spunti nelle mani di un’attrice. Tuttavia, pur essendo presente, non sarà questa la colonna portante attorno a cui ruoterà l’intero film: l’incipit viene accantonato e ripreso solo a tratti. Felicità si occupa infatti soprattutto di salute mentale e dell’impatto potenzialmente negativo della famiglia o delle persone vicine nel processo di (tentata) guarigione.
I genitori di Claudio e Desirè sono infatti legati ad un contesto socio-storico-culturale completamente opposto a quello dei figli, e sono incapaci di affrontare la crisi mentale di Claudio, abbandonandosi a commenti ed atteggiamenti casuali ma dannosi. Anche il personaggio di Bruno, tuttavia, che pure è istruito e quindi potenzialmente più conscio di questioni sociali topiche come la salute mentale, non è esente dal giudizio nei confronti della compagna (come abbiamo avuto modo di vedere già nella scena iniziale). In Felicità nessuno è risparmiato ed effettivamente capace di affrontare la situazione, ricalcando l’ancora attuale incapacità del nostro paese di affrontare in maniera seria e senza giudizi la salute mentale.
Nelle scene dedicate al tema Ramazzotti, anche sceneggiatrice (insieme alle esordienti Isabella Cecchi ed Alessandra Guidi), evita fortunatamente alcune potenziali trappole in cui spesso si cade nel parlare di malattie mentali: non demonizza l’uso di farmaci e la terapia psicologica (e anzi, le eleva), non nasconde la difficoltà del percorso di guarigione, non decide di puntare ad una facile riconciliazione con la parte dannosa in nome dell’affetto familiare o dei vincoli di sangue.
Dove Felicità riesce in termini di dialoghi, a tratti didascalici ma certamente più che atti allo scopo (la ricostruzione di un ambiente familiare e relazionale soffocante) pecca però per costruzione della storia: alcune scene non sembrano avere un ruolo ben preciso per il procedere della vicenda, e alcuni fili narrativi a cui viene data importanza non vengono mai risolti. Ciò a partire dall’arco narrativo della stessa Desirè, che non ha mai una risoluzione vera e propria (potremmo potenzialmente dire che si tratta di un finale in linea col personaggio, incapace di pensare a sé e alla sua crescita e dedita al totale servizio di quello degli altri).
Neppure la regia e la fotografia brillano per guizzi di genio o perizia tecnica. Tuttavia, trattandosi di un debutto alla regia, siamo più propensi a passare sopra un risultato non brillante ma certamente pulito. Le premesse sono buone, e siamo curiosi di vedere se questo primo esperimento resterà un’eccezione nella carriera di Ramazzotti o l’inizio di un nuovo percorso.
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