Fargo è uno dei prodotti televisivi di maggior pregio degli ultimi anni: complici un cast eccellente e una sceneggiatura raffinata, la serie ideata e scritta da Noah Hawley viene considerata un esempio dell’alto standard qualitativo raggiunto dalle serie televisive nell’ultimo trentennio, in grado di raggiungere e in alcuni casi anche di superare il “fratello maggiore” cinema.

La serie prende spunto dall’omonimo film (1996) dei fratelli Coen (produttori esecutivi del Fargo televisivo) ma se ne distanzia completamente: ogni stagione racconta una storia a sé, con personaggi e ambientazioni di volta in volta diverse, accomunate dal raccontare storie di crimini che coinvolgono persone comuni. Il sapore è proprio quello di un film dei fratelli Coen: personaggi eccentrici, dialoghi bizzarri e apparentemente senza uno scopo, province americane sonnacchiose che diventano teatri di violenze efferate.

L’esempio migliore in questo senso è costituito dalla prima stagione, considerata unanimemente la migliore della serie: la storia segue Lester Nygaard (Martin Freeman), mediocre e pavido impiegato coinvolto in una sanguinosa vicenda dopo un incontro fortuito con il killer Lorne Malvo (Billy Bob Thornton, vincitore del Golden Globe). Sulle tracce di entrambi l’agente di polizia Molly Solverson (Allison Tolman), che oppone a Lester e Lorne la propria intelligenza e moralità.

Il gioco del gatto col topo è quindi condotto, a parti alterne, dai due fronti opposti: da una parte il Male in Lorne Malvo, killer freddo e metodico, abile nell’assumere ruoli e personalità differenti per arrivare ai suoi fini, mascherandosi da prete e da dentista – quindi un Male che assume forme diverse e apparentemente innocue: un altro tema tipico dei Coen – e in Lester Nygaard, incapace di rinunciarvi per codardia e per un confuso desiderio di rivalsa; dall’altra il Bene in Molly Solverson e in Gus Grimly (Colin Hanks), persone fallibili ma oneste e coraggiose. Per buona parte della serie, il gioco è sempre a vantaggio dei primi, continuamente un passo avanti agli agenti di polizia che cercano di fare il loro lavoro e devono, inoltre, vedersela anche con una più ampia rete criminale e con una catena di omicidi di omicidi iniziata proprio da Lorne Malvo e da Lester. Una tempesta di violenza, oscurità e doppiezza morale che travolge i due agenti, rappresentata dalla tempesta di neve che, nel sesto episodio, impedisce ai due agenti di vedere e catturare Malvo, e avrà un’altra importante conseguenza nella vita di entrambi.

L’epifania religiosa del magnate Stavros Milos (Oliver Platt), bersaglio di Lorne Malvo la cui sottotrama occupa cinque dei dieci episodi, sembra indicare una possibile soluzione per risolvere questa confusione morale; ma quella sottotrama si rivela una falsa pista e l’evento “biblico” che la conclude finisce in una tragedia in cui non è riconoscibile alcun disegno divino. Ben presto, infatti, appare chiaro che c’è qualcos’altro a ostacolare o aiutare i personaggi nel loro percorso. Molly si lascia sfuggire Malvo solo perché lei entra in una stanza esattamente un momento dopo che lui ne è uscito; Lester e Lorne Malvo si incontrano una seconda volta, ancora, per puro caso e questo nuovo incontro casuale si rivelerà decisivo per la disfatta di entrambi; Gus risolverà il caso che infanga la sua reputazione di poliziotto perché ferma la sua auto, in maniera fortuita, vicino alla casa del criminale che sta cercando. Le storie dei personaggi, insomma, si intrecciano e si separano in un gioco di incontri fortuiti ed eventi casuali.

Questa mano decisiva del Caso, lungi dall’essere frutto di soluzioni narrative sciatte da parte degli sceneggiatori, viene riconosciuta come determinante in un dialogo tra Molly e il suo superiore Bill Oswalt (Bob Odenkirk): nel raccontare il fortuito ritrovamento del figlio adottivo disperso, Bill si interroga con stupore sull’incredibile catena di eventi che ha portato padre e figlio – che non si erano mai incontrati di persona prima – a essere nello stesso luogo e a ritrovarsi per pura coincidenza.

La scena con Bill avviene tra gli ultimi episodi, per giustificare e spiegare quanto avvenuto fino a quel momento e anche quanto accadrà poi: una serie di eventi in cui ha giocato un ruolo fondamentale quel qualcosa che sfugge a tutti i personaggi, per quanto metodici e determinati possano essere a raggiungere i propri obiettivi. Il racconto di Bill Oswalt sembra, tra l’altro, segnare una cesura tra il periodo in cui il Caso ha favorito prevalentemente Lorne Malvo e Lester e quello degli ultimi episodi in cui decide di aiutare Molly. I personaggi, è importante notarlo, non vengono mai deresponsabilizzati. Il male o il bene che compiono viene sempre da loro stessi, possono subire le conseguenze delle proprie azioni o provare a sfuggirvi, e non sembrano agire come burattini – tranne Lester che all’inizio sembra subire la fascinazione oscura di Malvo: semplicemente le loro azioni subiscono continui sgambetti e occasionali spinte da qualcosa di capriccioso e più grande di loro.

A questo sembra a sua volta opporsi un’altra forza superiore, che fa capolino nel corso della storia, specialmente verso il finale: quella del Destino, che agisce in modi inaspettati per risolvere i conflitti e, ancora una volta, unire i personaggi. Certe volte, quindi la logica del Destino – la logica narrativa della serie? – sembra essere decisiva su quella del Caso: appare inevitabile che sia un personaggio in particolare a fermare Malvo e sembra altrettanto inevitabile che Lester e Lorne si incontrino di nuovo nonostante la distanza geografica e temporale che li ha separati fino a quel momento. E questa logica sembra contraddire i giochi del Caso visti finora.

Al termine della prima stagione di Fargo, quindi, i nodi vengono al pettine, i personaggi vengono puniti o premiati, ma la domanda resta: chi vince, Caso o Destino? Come in molti film dei fratelli Coen, dallo stesso Fargo a Non è un paese per vecchi (2007) fino a A Serious Man (2009), la risposta è ambigua, o non c’è proprio. Viene lasciato allo spettatore il compito di provare a sbrogliare la matassa o la scelta di rinunciarvi e godersi lo spettacolo e le prove attoriali: tuttavia sottotraccia resta anche l’invito, in ogni caso, a dare il meglio di sé e a scegliere il Bene e la vita. Nonostante tutto il Male che viene commesso e il Caso che sembra sempre metterci lo zampino.

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Valentino Feltrin, Redattore