Fino ad una decina di anni fa, l’annuncio di un adattamento cinematografico di un videogioco era accompagnato dal terrore più puro con i fan ben consci che la loro ip preferita sarebbe stata di lì a poco distrutta completamente per creare, nella migliore delle ipotesi, un prodotto mediocre. Da diversi anni questo trend sembra essersi fermato, portando alla realizzazione prima di pellicole certamente non perfette ma capaci spesso di incontrare soprattutto il favore degli amanti del videogioco – esempi possono essere Tomb Raider (Roar Uthaug, 2018), Mortal Kombat (Simon McQuoid, 2021), Pokèmon: Detective Pikachu (Rob Letterman, 2019) o Resident Evil: Welcome to Raccoon City (Johannes Roberts, 2021) – poi prodotti capaci di incontrare anche il gusto di chi ricerca qualcosa di ben fatto anche dal punto di vista filmico. Gli esempi perfetti sono giunti attraverso il piccolo schermo: Halo e The Last Of Us, due serie tv capaci – con approcci opposti – di farsi apprezzare anche dalla critica.

È però grazie ad Amazon, che già era riuscita a ritagliarsi un posto nell’olimpo degli adattamenti di storie a fumetti grazie a The Boys e Invincible, che ci si ritrova ad oggi davanti al miglior prodotto tratto da un videogioco. Un’impresa inoltre tutt’altro che semplice quella di prendere un brand come Fallout, caratterizzato soprattutto dalla sua gigantesca ambientazione post-apocalittica che lascia grande libertà di esplorazione ed approccio al giocatore, e creare una storia capace di convincere sia i fan, conoscitori dei più minuziosi dettagli della lore, sia soprattutto chi il videogioco nemmeno lo conosce o ne ha soltanto sentito parlare. Eppure Amazon MGM Studios e la Kilter Films di Jonathan Nolan e Lisa Joy assieme al team di Bethesda Game Studios (capitanato da Todd Howard in veste di produttore esecutivo) hanno centrato in pieno il bersaglio.

Narrazione semplice, ma con stile

Dopo un delizioso incipit in cui la serie ci mostra lo stile di vita di un’America retro-futuristica che strizza l’occhio agli anni ‘50 e l’inizio del bombardamento nucleare, si viene catapultati nel 2296 per seguire le storie di quattro personaggi: Lucy MacLean (Ella Purnell), una giovane ragazza che vive nel Vault 33 – un rifugio antiatomico sotterraneo – che si vede presto costretta ad uscire dal nido sicuro per addentrarsi nelle terre contaminate al salvataggio di una persona che ama, ed il fratello Norm (Moisés Arias), che invece rimane all’interno del Vault e di cui scoprirà numerosi ed inquietanti segreti; Maximus (Aaron Moten), cadetto della scuola militare della Confraternita d’acciaio con il sogno di diventare un Cavaliere e liberare la terra dai mutanti; ed infine il Ghoul (Walton Goggins), ex-attore di Hollywood mutato dalle radiazioni divenuto un pistolero e cacciatore di taglie.

Ella Purnell nei panni di Lucy MacLean attraversa la zona contaminata

Attraversando il Commonwealth i vari personaggi finiscono per incrociarsi nel proprio cammino a volte aiutandosi l’un l’altro ed altre scontrandosi, permettendo in questo modo alla serie di costruire un intreccio narrativo che tiene incollato allo schermo lo spettatore e che, puntata dopo puntata, si lega sempre di più ai protagonisti che lo accompagnano alla scoperta continua di dettagli sempre più intricati riguardanti il mondo in cui essi vivono, combattono e muoiono

Mentre The Last Of Us puntava a proporre un gioco recente e dall’impianto già di per sé fortemente cinematografico, dall’uscita del primo Fallout videoludico sono passati quasi trent’anni ed in tutto questo tempo il materiale di base non ha fatto che ampliarsi a dismisura. Proprio per questo non possiamo che complimentarci con gli showrunner Graham Wagner e Geneva Robertson-Dworet per essere riusciti a portare sullo schermo un mondo con numerose regole precise, diviso in fazioni ognuna con la propria ideologia, popolato da mostri di ogni tipo ma che riesce ad essere sempre chiaro ed esplicito, permettendo a chi non ha familiarità con la serie di entrare pezzo dopo pezzo all’interno dei vari contesti presentati e ai fan di trovare invece moltissimo di ciò che già conoscono, presentato qui senza essere stato stravolto o rovinato.

Lo scoglio più grande di questo prodotto viene proprio dal medium di riferimento: Fallout è prima di tutto un videogioco, in cui il protagonista subisce lesioni normalmente fatali e che cura con una semplice iniezione di un medicinale, in cui numerosi combattimenti si svolgono con un effetto rallenty per permettere una gestione più tattica delle risorse e dei movimenti, in cui alcuni colpi si rivelano “critici” e portano un arto ad esplodere in mille pezzi e soprattutto in cui tutti i vari personaggi che si incontrano sono creati apposta per permettere al giocatore di vivere un certo tipo di avventura e di storia. In questo la serie si dimostra pienamente in linea proponendo tutti questi elementi, dalla protagonista che perde un dito e gli viene riattaccato poco dopo, alle diverse (meravigliose) sparatorie in cui il Ghoul si dimostra una macchina da guerra capace di far esplodere in mille pezzi ogni nemico, fino ai personaggi che si lasciano andare a numerose battute dall’umorismo assurdo e spiccatamente nero. Se lo spettatore si dimostrerà disposto ad adattarsi a questo tipo di narrazione, Fallout riuscirà senza dubbio a conquistarlo come un ghoul in una pozza di acqua radioattiva.

Il Ghoul di Walton Goggins mentre attende la propria taglia

“La guerra, la guerra non cambia mai”

“Sei un codardo lo sai?

Tutti lo siamo, Norm. Per questo viviamo in un Vault.”

A fare da contraltare ai numerosi momenti tragicamente comici ed alla “stupidità” di certi personaggi o di certi loro comportamenti e atteggiamenti si manifesta al tempo stesso tutto ciò che si può ascrivere attorno a tematiche “alte”: attraverso i flashback pre-bellici si parla di un’America dal consumismo sfrenato, in cui multinazionali come la Vault Tec o la Nuka Cola manifestano molto più potere del governo stesso e dove la guerra e la politica vengono usate come strumenti di profitto, costruendo un’ideologia attorno ad esse che si sparge a macchia d’olio su tutti gli altri ambiti della società; attraversando invece le terre contaminate si finisce per parlare di diritti umani, di sperimentazione sulle specie, di apologia del nucleare, di sfruttamento, di razzismo. Tantissime sono le tematiche trattate – alcune più approfonditamente, altre rimanendo più in superfice – dalle otto puntate, capaci quindi di prendere quanto di buono fatto nel materiale di partenza e riuscendo ad approfondirlo a dovere.

L’aspetto tecnico non è di certo l’anello debole. Pescando a piene mani dai diversi videogiochi, la serie costruisce un’ambientazione ricca di dettagli ed easter eggs capace di generare un meraviglioso colpo d’occhio, spaziando da deserti sabbiosi e cittadine tipicamente western, a piccole oasi popolate dai mostri, passando per città distrutte ricostruite con gli scarti metallici di automobili e macchinari e per gli sterili Vault illuminati dalle luci al neon. Ad aggiungersi sono i fantastici reparti dei costumi e del trucco, capaci di ricreare in maniera pressoché identica quanto visto nei videogiochi e su cui spicca la fantastica realizzazione dell’armatura da cavaliere T-60 ed il volto del Ghoul interpretato da Walton Goggins che riesce ad essere molto vicino agli originali ma senza minare l’espressività dell’attore. In tutto questo l’utilizzo – inevitabile – di cgi risulta una gradita aggiunta, ben dosata e mai fastidiosa.

La messa in scena si attesta su un buonissimo livello, con diversi registi ad alternarsi in cabina di regia – tra cui anche Jonathan Nolan, anche produttore esecutivo assieme a Lisa Joy e che riportano qui diversi elementi direttamente dal loro precedente lavoro su Westworld – capaci di esaltare sia i momenti più tesi negli ambienti ristretti che la devastata maestosità del Commonwealth, aiutati da un accompagnamento musicale che alterna brani originali prodotti dall’ormai sinonimo di qualità Ramin Djawadi e celebri brani direttamente dal repertorio degli anni ’50 e ’60, di cui molti ripresi direttamente dalla colonna sonora originale videoludica.

A chiudere il cerchio si manifesta un cast di ottimo livello, con una Ella Purnell perfetta nei panni di un personaggio inizialmente ingenuo che si indurisce episodio dopo episodio ed un Walton Goggins che, nonostante il pesante trucco prostetico, riesce a dare vita ad un personaggio complesso e sfaccettato. A sbilanciare il risultato si manifesta un Aaron Moten imbrigliato in una recitazione a tratti eccessivamente macchiettistica e caricaturale che in più di un’occasione finisce per generare sentimenti contrastanti all’intento di numerose sequenze. A loro si aggiungono poi diversi volti noti, da Kyle MacLachlan a Michael Christofer passando per Matt Berry, Michael Emerson e Dale Dickey, sfruttati dalla serie per piccoli cameo o ruoli secondari.

Conclusioni

Ciò che è approdato in questi giorni su Amazon Prime non è soltanto un’ottima serie tv, ma è un vero e proprio spartiacque. Sul piano della narrazione, Fallout costruisce una storia inedita che si inserisce perfettamente nel canone di riferimento riempiendo il prodotto di rimandi più o meno velati ai capitoli videoludici attraverso una storia che adatta i suoi elementi fondamentali al piccolo schermo senza perdere smalto o sfigurare, prendendo le tematiche centrali del racconto ed approfondendole ulteriormente; ad aiutare ci sono poi un’ottima messa in scena con paesaggi e scenografie mozzafiato ricche di dettagli, una cgi mai eccessivamente invadente che si mescola ad effetti pratici e trucco prostetico di ottima realizzazione, un ottimo cast tra cui figurano anche grandi nomi, costumi che rimandano ai videogiochi senza mai creare effetti sgradevoli, un’ottima regia sia nei momenti più tranquilli che in quelli movimentati e la fantastica colonna sonora tra musiche degli anni ’50 e brani originali. 

Da oggi si può considerare definitivamente conclusa l’era dell’ “impossibilità di adattare i videogiochi”, stabilendo di fatto un pre ed un post Fallout.

Mattia Bianconi
Mattia Bianconi,
Redattore.