Appena due anni dopo al suo Caravaggio, Michele Placido torna a raccontare l’intimità di un’altra importante icona italiana, stavolta Luigi Pirandello. Eterno Visionario, questo l’evocativo titolo della biopic, ha debuttato alla Festa del Cinema di Roma 2024 e sarà al cinema a partire dal 7 novembre. Nel cast c’è Fabrizio Bentivoglio nei panni dell’autore siciliano, Valeria Bruni Tedeschi è la moglie Antonietta Portulano, e Federica Vincenti, che è anche produttrice del film, interpreta la musa di Pirandello Marta Abba. Regia di Michele Placido e sceneggiatura di Placido insieme ai giornalisti agrigentini Matteo Collura e Toni Trupia.
Il fu Luigi Pirandello
Purtroppo, nella coscienza comune, la figura di Pirandello è ancora fortemente associata al contesto scolastico: è quel personaggio un po’ complicato che si è studiato in letteratura italiana come scrittore premio Nobel, autore del dramma Sei personaggi in cerca d’autore e del romanzo Il fu Mattia Pascal. L’impresa di Eterno Visionario, quindi, è di approfondire temi toccati con timidezza dai manuali: in particolare si racconta la vita privata dell’illustre siciliano, una vita in realtà piena di sofferenze e incertezze che in qualche maniera è stata la prima materia d’ispirazione della sua produzione letteraria.
Durante il suo viaggio in treno verso Stoccolma nel dicembre 1934, Pirandello riflette su alcuni momenti salienti della propria vita, che vengono così inscenati in una raccolta di ricordi di periodi e personaggi diversi. C’è la moglie Antonietta Portulano, malata e paranoica con le sue crisi destabilizzanti per l’intera famiglia; ci sono i tre figli della coppia; c’è il teatro, le voci nella testa e gli scandali da cui nascono i Sei personaggi, il fiasco della prima; il cinematografo, Berlino; il contatto con Murnau per un grande film europeo; il fascismo; le zolfatare di Sicilia; e Marta Abba, la musa, una giovane attrice che ammalia Pirandello già maturo.
Marta Abba è il fulcro della storia, forse, lo scopo della ricerca di Pirandello di unire la concretezza del teatro all’astrattezza della donna. Tra i due cresce un rapporto professionale che mette in difficoltà l’autore, tormentato da un’età troppo giovane per fare a meno delle donne e troppo avanzata per non cercarne le attenzioni senza imbarazzo. Pirandello a metà, tra il vecchio e il giovane, avanti e indietro nei momenti della sua vita: il matrimonio della figlia Lietta, che partirà per il Cile provocando angosce al padre, l’internamento di Antonietta, la notte a Como.
Sei personaggi in cerca di film
Eterno Visionario si configura come un insieme di scene levigatissime, in tensione tra una rasserenante apparenza domestica e pacifica e un fascino oscuro dell’intimo pirandelliano. La prima metà del Novecento è ricostruita ottimista con ambienti ammalianti come il teatro, il treno, i salotti, e allo stesso tempo decadente negli spazi claustrofobici come la stazione Tiburtina al ritorno dei militi dal fronte, le zolfatare e soprattuto Casa Pirandello, sempre osservata in campi stretti, luci fioche e con l’ansia delle relazioni che vi si collocano.
Fabrizio Bentivoglio è molto calato in parte, lasciando da parte certi suoi istrionismi per un’interpretazione sempre misurata e austera. Valeria Bruni Tedeschi all’opposto urla e strepita per evocare la follia che tempestava la psiche della moglie di Pirandello. La produttrice e co-protagonista Federica Vincenti offre una Marta Abba assai auto-consapevole, quasi calcolatrice nella freddezza di cui è padrona. La sorpresa si trova soprattutto nel cast giovane, non tanto in Aurora Giovinazzo (Lietta) che senza dubbio una garanzia di forte intensità emotiva al servizio del personaggio, quanto in Michelangelo Placido, poco più che esordiente e con pochissime battute, che riesce però in una profondità espressiva molto efficace, malinconica e presente.
Michele Placido compone una regia ricca e sfumata, con primi piani intensi e scene d’insieme molto evocative, ricercate, che richiamano sovente a quadri e atmosfere. Probabilmente si trova egli stesso nell’età perfetta per raccontare il dissidio di Pirandello. La regia di Placido, un po’ come Coppola in Megalopolis, sembra incastonata tra passato e futuro: ha raccolto tutta la sua esperienza professionale ed emozionale per costruire questa storia, ma la offre soprattutto alle nuove generazioni, alle scuole, dove spera di proporre una nuova visione di Pirandello. Del resto, il titolo stesso “Eterno Visionario” è costituito di due parole che hanno a che fare con il tempo, una col passato e l’altra col futuro.
Il treno ha fischiato
La messinscena potrebbe dirsi quasi teatrale, snodata in quadri relazionali che si susseguono, alternando la progressione di tempi e luoghi in maniera libera. “Quasi” teatrale perché, purtroppo, invece, casca spesso nel televisivo. Lo sforzo produttivo è stato immane nella realizzazione degli ambienti e della “grana” d’epoca, e l’intensità emotiva della regia parla, così come le interpretazioni degli attori, ma la sceneggiatura somiglia troppo a quella di una fiction compressa. È didascalica, ripetitiva, scontata in certi passaggi. L’intento chiaro è stato quello di entrare nella casa e nel privato di Pirandello per avvicinarlo a chi lo conosce solo dalla scuola, ma forse la stesura si è avvicinata troppo anche alle case dei destinatari, immaginandoseli distratti e poco coinvolti.
Al contrario, non è per niente difficile essere assorbiti da questa vicenda di tormento e passione di un uomo infine comune. La volontà di semplificare il racconto per “umanizzare” Pirandello, infatti, non è di per sé negativa, ma va a discapito del ritratto un grande scrittore. Rispetto ad un altro film piuttosto recente su Pirandello, La stranezza di Roberto Andò, qui, l’autore sembra forse un po’ troppo perso tra le voci nella sua testa, incapace di controllarle, perché sono solo suoi fatti privati che riemergono come voci.
Eterno Visionario è un’opera poetica e in un certo senso critptica, che contende l’uomo Pirandello e lo scrittore premio Nobel Pirandello, tra passato e futuro, famiglia e aspirazioni letterarie, successo e fallimento. Queste opposizioni sono tematizzate in uno svolgimento scomposto in parti da riordinare, una trama “pirandelliana” che insidia la percezione della verità. È come se tutto il film fosse attraversato da una forza centrifuga, che porta via dal fulcro, verso l’esterno, come Pirandello che perde il controllo, e come tutti i suoi personaggi che cercano una via di fuga da un ambiente fin troppo costringente. Probabilmente non è un caso che la prima inquadratura del film sia quella di un treno in partenza.

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