Narrare il delitto del politico democristiano Aldo Moro è una questione tutt’altro che elementare: nel corso dei decenni, diversi registi hanno tentato di interpretare e restituire in forma cinematografica l’evento che cambiò irreversibilmente il panorama politico italiano. Nella storia della Settima Arte, il primo racconto dell’evento viene distribuito nelle sale otto anni dopo il delitto: è Il caso Moro di Giuseppe Ferrara, lungometraggio che rievoca il rapimento dell’onorevole italiano, ripercorrendo i 55 giorni di prigionia sino al ritrovamento del cadavere il 9 maggio 1978. Nella memoria collettiva resta la magistrale interpretazione di Gian Maria Volonté, già noto per la sua satirica restituzione di Aldo Moro nel film Todo Modo, diretto da Elio Petri nel 1976. Successivamente, nel 1991 viene prodotto L’anno del terrore di John Frankenheimer, seguito da Piazza dalle Cinque Lune (Martinelli, 2003) e da Se sarà luce sarà bellissimo (Grimaldi, 2004).
In questo panorama, il regista Marco Bellocchio rappresenta un unicum, in quanto autore di ben due pellicole cinematografiche che intendono interpretare la tragica vicenda riguardante Aldo Moro. Nel 2003, infatti, scrive e dirige Buongiorno, notte, con Roberto Herlitzka nei panni del politico democristiano; e durante la prima giornata della 75ma edizione del Festival di Cannes, il regista presenta in concorso Esterno Notte, serie in sei puntate volta a proporre una nuova narrazione di quanto accaduto nella primavera del 1978. Proiettato interamente presso la rassegna cinematografica francese, le prime tre puntate (o parti, come dovrebbero essere definite) sono uscite mercoledì 18 maggio in Italia; le restanti verranno distribuite il 9 giugno.
UN PROGETTO AMBIZIOSO
1978: l’Italia è dilaniata dalle rappresaglie di gruppi estremisti, stragi e omicidi; in questi tumulti, le Brigate Rosse sono un’organizzazione terroristica di estrema sinistra che rivendica, attraverso la violenza, le istanze della rivoluzione comunista. Nel marzo del medesimo anno, il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, al fine di salvaguardare l’integrità del Paese chiede a gran voce di stringere un’alleanza politica con il Partito Comunista Italiano (PCI); nonostante l’accordo, i risentimenti interni alla maggioranza della DC non sono favorevoli a includere i comunisti nella dirigenza del paese. Ma la mattina del 16 marzo 1978, il presidente democristiano subisce un’imboscata: le Brigate Rosse massacrano la sua scorta ed egli viene rapito; la politica immediatamente reagisce per poter salvare il politico italiano, ma non senza qualche indugio…
La portata di questi eventi di natura geopolitica, adombrati da segreti statali e circostanze avvolte nel silenzio, è materia di difficile trattazione. Le diverse interpretazioni del caso Moro sono, in questo senso, sintomo di una necessità di rispondere a quesiti rimasti irrisolti dal 1978 a oggi. In questo senso, il progetto di Marco Bellocchio risulta essere vincente in quanto incarnazione di un’istanza volta a scoperchiare questo evento rimosso, impiegando la propria autorialità di cineasta come marchio di fabbrica per un’operazione riuscita.
Bellocchio esordisce nel 1965 con I pugni in tasca, folgorante opera prima che anticipa il risentimento della generazione dei “figli” in opposizione con quella dei “padri” culminata nel celebre Sessantotto. L’impiego della propria presenza nella stagione del cinema civile italiano risulta essere già un lasciapassare per tessere il racconto del caso Moro. Ma questa autorialità forte non solo contamina la narrazione propriamente cinematografica con quella seriale, ma risulta essere, inoltre, del tutto cosciente dei nuovi stilemi del racconto proposti dai registi del panorama italiano. Certo è complicato proporre un giudizio in merito a una serie televisiva uscita per metà nelle sale: tuttavia, le premesse sono oltremodo positive e Bellocchio si riconferma, dopo le esperienze de Il Traditore (2019) e Marx può aspettare (2021), un narratore che riesce a far convergere la propria autorialità decennale nelle correnti narrative contemporanee.
ESTERNO NOTTE: PARTE PRIMA
Nelle prime tre puntate, Marco Bellocchio si focalizza su tre momenti fondamentali: il rapimento di Moro (prima puntata), le reazioni della politica italiana (seconda) e del Vaticano (terza). In questi 168 minuti, il regista sceglie di evitare la messinscena del luogo entro cui si ritrova detenuto il presidente della DC (a parte in due inquadrature di natura onirica), mostrando, invece, in una chiave non priva di satira, ciò che accade all’interno di due Palazzi: quello della Politica e quello della Chiesa.
Ciò che desta stupore, alla prima visione dell’opera, è sicuramente il cast corale riunito per dar vita ai fatti avvenuti fra marzo e aprile dell’anno 1978. In primis, un folgorante Fabrizio Gifuni incarna un Moro onesto e curato nei minimi dettagli, in una prova attoriale degna di plauso. Certo non è possibile evitare il confronto con la memorabile interpretazione di Gian Maria Volonté: Bellocchio ne è consapevole quando, nel momento in cui Moro si appressa a consumare la cena, si annuncia alla radio l’inizio delle riprese di Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi, con Volonté nei panni di Carlo Levi. Tuttavia, la professionalità di Gifuni non sfigura, né passa inosservata: anzi, non è eccessivo asserire che l’attore possa concorrere al premio come migliore interprete maschile a Cannes. Ma anche il restante cast non si esula da sinceri elogi: Fausto Russo Alesi ci regala un’interpretazione graffiante di Francesco Cossiga, mostrando luci e ombre di un politico influenzato dalle proprie debolezze al pari del Giulio Andreotti di Fabrizio Contri. Toni Servillo incarna un sincero Paolo VI, in un’interpretazione che in questa prima parte conferma, nuovamente, la sua avvalorata professionalità; il medesimo giudizio è riservato a una Margherita Buy in forma, nei panni di Eleonora Moro.
A dirigere il comparto attoriale vi sono una regia matura, tale è quella di Bellocchio, nonché una sceneggiatura attenta a compensare l’aderenza alla Storia con la necessità di restituire anche una dimensione intima dei protagonisti: se da un lato le manifestazioni per le strade di Roma sono fedeli al clima dell’epoca, dall’altro il cineasta non indugia nel mettere in scena dettagli sulla vita privata di Aldo Moro, le conversazioni sui match calcistici pronunciati dalla scorta del politico, i particolari delle abitazioni degli Onorevoli; anche un semplice annuncio alla radio concernente “un ennesimo avvistamento di UFO” (al tempo comuni, dopo l’uscita di Incontri ravvicinati del terzo tipo) denota una chiara esigenza di dipingere nei minimi particolari l’affresco dell’Italia di allora.
Certamente, riproporre una storia già narrata sia dal cinema che dalla televisione concerne il rischio di ripetizione di un medesimo storytelling. Nel caso di Esterno Notte, è difficile asserire se ciò si verifichi o meno, in virtù della visione delle sole prime tre puntate. Tuttavia, si può affermare che l’operazione del regista risulta essere tutt’altro che una semplice rielaborazione dei fatti del 1978. È uno storytelling conscio dei mutamenti nei canoni della narrazione e motivato dalla forte necessità di argomentare le vicende fruendo di un punto di vista non privo di criticità verso alle assurde azioni intraprese dalla politica e dal clero al fine di salvare Aldo Moro. Certamente, ciò è dovuto non solo alla chiara posizione politica di Bellocchio, ma anche ai “prestiti” dovuti ai prodotti cinematografici che hanno aspramente criticato la politica italiana degli anni Settanta: basti pensare al già nominato Todo Modo o al più recente Il divo di Paolo Sorrentino (2008).
Sicuramente, con l’uscita di questa prima parte Marco Bellocchio ha catturato l’attenzione del pubblico in merito a una storia italiana ancora adombrata da controversie di natura politica: sicuramente occorre attendere il 9 giugno per comprendere se le premesse presenti nella prima parte verranno confermate anche nella seconda.
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