Francia, estate del 1985. L’annoiato sedicenne Alex (Félix Lefebvre) si è da poco trasferito con la famiglia nella città marinara di Le Tréport, nella Senna Marittima. Un giorno, sorpreso al largo delle acque della Manica da un nubifragio che rovescia la sua piccola imbarcazione, viene tratto in salvo da David (Benjamin Voisin), ribelle e carismatico diciottenne col quale nasce subito un’amicizia, destinata a trasformarsi rapidamente in una trascinante passione. Ma un evento tragico grava sulla sorte dei ragazzi…
Dal libro per adolescenti Danza sulla mia tomba (1982) del britannico Aidan Chambers, François Ozon, trasferendo l’ambientazione dal Sud dell’Inghilterra alle coste della Normandia, trae un insolito teen romance che alle palpitazioni amorose intreccia un’evoluzione drammatica dall’atmosfera funerea e a tinte cupe, con un’ingombrante pulsione di morte che aleggia costante e parallela al racconto di educazione sentimentale. Un melodramma intimo e processuale, affidato alla voice over di Alex (il film si apre con il suo arresto), che indaga à rebours sulle verità della storia e della relazione di coppia, nelle pieghe tra il resoconto cronachistico e l’idealizzazione romanzata nel lavoro della scrittura – tema già esplorato da Ozon in Swimming Pool (2003) e in Nella casa (2012). «L’unica cosa che conta – dice Alex – è riuscire a fuggire dalla propria storia»
Siamo noi a inventare chi amiamo, a costruire illusoriamente il soggetto dell’attrazione? Estate ‘85 è un film di proiezioni e fantasmi del desiderio: Alex entra in scena come una sfocata silhouette che cammina in controluce, e apre il racconto con un flashback che qualifica la presenza cruciale di David come «cadavere in vita», un living dead dal destino già segnato sul modello wilderiano di Viale del tramonto (1950). Ozon asseconda i macabri umori del protagonista e lo ritrae in pose da camera mortuaria (la vasca da bagno in cui si immerge come in un sarcofago egizio), in nature morte di gusto pittorico (il profilo del giovane affiancato a un teschio sullo scaffale), o in piccole associazioni cinefile a tema sepolcrale (il poster dello scult The Awakening (1980) in camera di Alex).
Il regista francese si insinua con pudore e delicatezza nell’alchimia crescente dei contatti tra Alex e David. Senza insistere, come spesso fatto altrove (Giovane e bella (2013), Doppio amore (2017), sul sesso esibito e sulla carnalità dei corpi. Dichiarando, per bocca di Alex, di non voler spiare dal buco della serratura quanto avviene dietro le porte chiuse. Carezzando, piuttosto, il languire di Alex per le labbra livide, il pallore cereo e gli occhi spenti dell’amato, nella scena en travesti all’obitorio, più scomposta e pretestuosa rispetto alle suggestioni di un’opera come Una nuova amica (2014), in cui il ruolo del travestitismo e dell’identità gender fluid assumeva vera centralità tematica.
Pur filmando in una granulosa pellicola Super 16mm che ricrea mood, immaginario e look giovanile degli iconici anni ’80 – tra Reebok bianche, Levi’s 501 e giubbotti in denim -, Ozon non ostenta mai un’estetica troppo glam e patinata. Senza nostalgie di maniera, offre un controcanto noir, problematico e spigoloso, da moderno poeta maudit (David cita i versi di Verlaine), di un tormentato rapporto affettivo nel decennio dell’euforia e del disimpegno. In anni in cui le coppie dello stesso sesso ancora costituivano un argomento socialmente scomodo, difficile da far venire a galla fronteggiando le resistenze del contesto pubblico e familiare.
Anche la ricca compilation delle celebri hit (In between days dei Cure, l’immancabile Self control, Cruel Summer dei Bananarama) si carica di un senso preciso, quando spara a tutto volume nelle cuffie del walkman la ballatona Sailing di Rod Stewart: non solo il pezzo per l’affettuoso isolamento acustico nella bolla sentimentale di un nuovo tempo delle mele aggiornato alla sensibilità LGBT (la scena dell’abbraccio in discoteca), ma vero spleen emozionale della promessa di danzare sulla tomba, dissotterrando la memoria dolceamara degli amori sepolti.
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