Un metronomo che segna il tempo, in sottofondo. Un uomo anziano che entra in una stanza e comincia a fare esercizi. Voci e immagini di persone note, alcune delle quali se ne sono già andate, che ci raccontano questo Maestro. L’uomo seduto al tavolo, intento a buttare giù alcune note su un pentagramma. E poi, la musica che esplode. Il Maestro Ennio Morricone che dirige, nel proprio studio, un’orchestra invisibile mentre le sue note riempiono il cinema.
Così si apre Ennio, ultimo film di Giuseppe Tornatore, documentario dedicato al compositore Ennio Morricone con cui il regista ha collaborato dal 1988, con Nuovo Cinema Paradiso, fino al 2016, per il film La corrispondenza. I due, oltre ad avere uno stabile rapporto professionale, avevano in precedenza partecipato ad un altro progetto comune, ovvero la stesura del romanzo Ennio, un maestro, uscito nel 2018. Anche in questo caso, oggetto del lavoro erano la vita e l’opera del Maestro Morricone, che ci ha lasciato durante la pandemia, il 6 luglio 2020. È quindi evidente come sia proprio Tornatore l’unico in grado di raccontare, nella maniera il più completa possibile, questo grande artista: lo stesso Morricone accettò di parlare di sé solo a condizione che a fare un documentario su di lui fosse il collaboratore di lunga data.
Il film è stato presentato in anteprima il 29 e il 30 gennaio e sarà distribuito su ampia scala il 17 febbraio, dopo essere stato presentato al Festival del Cinema di Venezia lo scorso settembre. La versione presentata alla Biennale, per ammissione dello stesso regista, era ancora grezza. La pellicola, infatti, verrà rilasciata con 12 minuti in meno rispetto a ciò che è stato mostrato a Venezia, pur mantenendo il corposo minutaggio di due ore e mezza. Tagli richiesti dai produttori e dai distributori, a detta di Tornatore, che d’altronde ha sempre avuto, sin dal già citato Nuovo Cinema Paradiso, problemi di distribuzione con i suoi film dalle durate “mostruose”.
Tuttavia, in questo caso la difficoltà dell’impresa di riduzione del materiale di base (a detta di Tornatore il montaggio del film è durato due anni) risulta ben comprensibile. Infatti, alle spalle di Ennio c’è una quantità immane di materiale scartato, di ore di girato che sono state raccolte dal regista nel corso degli ultimi anni. L’intervista a Morricone, che è il fil rouge di tutto il racconto, è avvenuta infatti ben sette anni e mezzo fa, ed è durata undici giorni. A questa già spropositata quantità di materiale si sono aggiunte poi diverse interviste, fatte nel corso degli anni, a persone che hanno collaborato con il Maestro o a estimatori della sua musica particolarmente illustri. Alcune di queste persone, come i registi Bernardo Bertolucci e Lina Wertmuller, sono addirittura morte nel tempo intercorso tra la loro intervista e l’uscita del film. Si conti poi la selezione che è stato necessario effettuare sull’immenso catalogo di film musicati da Morricone (ha lavorato a ben 500 colonne sonore), oltre che sulle sue composizioni estranee al mondo del cinema e alle canzoni arrangiate. Per non parlare poi dei progetti mai andati in porto, come la collaborazione con Kubrick per Arancia meccanica (silurata da Sergio Leone) o la colonna sonora per La Bibbia di Huston.
Altro punto di difficoltà, nel maneggiare questa gran quantità di materiale, è stato il fatto che l’intenzione di Tornatore era quella di seguire l’ordine cronologico del racconto, in una costruzione che ci permette di seguire anche la parabola del nostro cinema e dei grandi registi che ne hanno fatto la storia. Il documentario diventa dunque, oltre che celebrazione del compositore, anche celebrazione dell’arte del cinema italiano, dei suoi giganti di ieri e di oggi, alcuni immortalati per sempre nelle immagini di questo film come, d’altronde, lo stesso Maestro Morricone.
Il tempo di lavorazione è stato tanto lungo che questo tributo si è trasformato, inaspettatamente, in un monumento post mortem che, tuttavia, non ci ricorda mai la scomparsa dell’artista a cui è dedicato: il decesso di Morricone resta forse il più grande non detto che aleggia su tutto il film. Piuttosto, Tornatore sembra voler eternare l’opera del Maestro: egli stesso ha ammesso di essere apparso molto poco nel documentario, nonostante abbia lavorato con Morricone per quasi trent’anni, proprio perché non voleva che diventasse un racconto del loro rapporto professionale. Che anche questa scelta di non chiudere il film con un epitaffio, com’è uso comune per i documentari biografici, sia dettata dalla stessa volontà di non allontanare il focus dalla sua storia? O che si tratti invece di un residuo della natura di questo progetto, cominciato quando il Maestro era ancora in vita? Difficile a dirsi. Resta il fatto che il pubblico, molto probabilmente, già sa, e che Tornatore ne è ben conscio: pur nella sua forma necessariamente ridotta, Ennio resta un’enorme bibbia sulla sua musica.
Infatti, come affermato da Tornatore, ciò che gli interessava di più era “raccontare” la musica di Morricone. Ogni film che ha costituito una tappa fondamentale nella sua carriera diventa occasione per il compositore e per chi ha lavorato con lui di spiegare le sottigliezze e le vicende di un dato brano. Scopriamo così divertenti aneddoti, come l’odio di Morricone per l’arrangiamento di In ginocchio da te, o interessanti soluzioni, come l’inserimento nelle sue colonne sonore di estratti di musica classica, l’improvvisazione sulle immagini del film e l’uso di oggetti per l’arrangiamento di canzoni popolari come Il barattolo, o ancora la sua ispirazione a elementi del reale, ad esempio i cori del Sessantotto che hanno dato il La al tema di Sostiene Pereira.
Questo documentario è dunque l’ennesima (e definitiva) occasione per Morricone di rovesciare la vergogna, raccontataci nel film, provata nel “nascere” come compositore di musica classica sporcatosi nel comporre colonne sonore: raccontandoci la perizia tecnica del proprio mestiere e spiegandoci cosa si nasconde dietro le proprie composizioni il Maestro può riscattare la “vergogna” dell’essersi allontanato dalla musica “pura” e dimostrare come sia riuscito a elevare quella che fino ad allora era considerata musica di serie B.
Nonostante la durata, il film mantiene comunque un buon ritmo, soprattutto grazie alla quantità di storie raccontate – che riescono a ravvivare l’attenzione dell’appassionato – e al perfetto connubio della musica con le immagini mostrate su schermo. Poter sentire i più famosi brani di Morricone che riempiono la sala cinematografica è un’esperienza che certamente vale il prezzo del biglietto. Gli unici momenti in cui il film sembra dilungarsi troppo sono quelli in cui si susseguono le lodi per il Maestro che, seppur meritate, risultano come l’ennesima ripetizione.
Alcune trovate di montaggio appaiono poi ingenue, soprattutto l’uso esasperato e visibile della slow motion in alcune sequenze. Ma la solennità della messa in scena e del contesto è tale e tanta che la commozione sorge spontanea, e a un film di due ore e mezza così attentamente costruito si può senz’altro perdonare qualche secondo di slow motion di troppo o qualche sottotitolo non proprio aderente alla controparte inglese.
Ennio è un tributo sentito e intenso all’arte della musica per il cinema e al mestiere di un Maestro e, in definitiva, risulta come il suo più grande riscatto su se stesso e su un sistema che per troppo tempo ha sminuito i suoi lavori.
Resta la curiosità per quelle ore e ore di girato che sono state scartate, per quel film che non è nel film, per quei personaggi che non abbiamo avuto modo di vedere e quelle storie che non abbiamo avuto modo di sentirci raccontare. Chissà che, in un futuro, Tornatore non rimetta mano ai suoi reperti, ora così potenzialmente preziosi, e ne tragga una qualche testimonianza scritta o una director’s cut.
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