Anno nuovo, vita nuova. Così sembrava essere anche per i Marvel Studios, intenzionati, dopo i numerosi insuccessi che hanno costellato la gran parte della Fase 4 e della ancora neonata Fase 5, a ristrutturare i propri piani per ricalibrare il tiro e tornare in carreggiata. Concentrarsi su un minor numero di progetti, portando all’uscita annuale di una manciata di pellicole e da una quantità ridotta di produzioni originali per Disney+, su cui però convertire tutti gli sforzi in un tempo più dilatato, senza forzare le mansioni degli addetti ai lavori sia nell’ambito della pre-produzione che del lavoro in post. La completa rielaborazione di Blade con la sostituzione del regista e lo scarto del girato di Daredevil: Born Again, con il cambio di sceneggiatori e la ripartenza da zero dell’intero progetto alla ricerca di un tono più maturo, sembravano porsi come segnali positivi, come anche la decisione di rendere canon le produzioni Netflix degli anni passati con protagonisti i Defenders e di creare subito un collegamento con Echo, nuova serie tv apripista dell’etichetta “Marvel Spotlight” con la quale proporre “storie più realistiche ed incentrate sui personaggi” e per le quali, secondo le parole di Brad Winderbaum “il nostro pubblico non avrà bisogno di aver visto altre serie Marvel per capire cosa succede”. I cinque episodi che compongono Echo sono finalmente arrivati sulla piattaforma di casa Disney proprio in questi giorni ma, rispetto a questa premessa, diverse cose sembrano essere andate per il verso sbagliato.

Street-level hero

Da sempre all’interno dei fumetti Marvel è presente – anche se parzialmente implicita – la divisione in categorie dei vari eroi: personaggi come i Guardiani della Galassia, Captain Marvel, Thor dispongono di poteri ed abilità che li portano a viaggiare nello spazio e ad affrontare nemici dotati di capacità e resistenze spesso sovrumane, pensati per essere avversari degni per gli eroi protagonisti di quelle avventure; se gli stessi nemici dovessero però scontrarsi con avversari come Daredevil, Spider-Man o Captain America, questi ultimi non avrebbero speranze e verrebbero sconfitti immediatamente. Post Avengers – Endgame risultava lapalissiano come questa divisione si sarebbe presto inserita anche nell’universo cinematografico: alcuni eroi sarebbero rimasti sulla Terra per affrontare spacciatori, assassini o scienziati pazzi, mentre altri avrebbero affrontato viaggiatori del tempo o divoratori di mondi.

Maya Lopez appartiene inevitabilmente alla prima categoria ed il primo episodio sembrava metterlo subito in chiaro. Riassumendo quanto visto in Hawkeye, gli sceneggiatori decidono di mostrare qualche stralcio del suo passato, narrando di come Maya sia entrata in contatto con Kingpin e su come sia finita per essere uno dei suoi bracci armati. Con una stupenda sequenza di combattimento girata in one-shot ci viene inoltre mostrato in azione il Daredevil già visto nella sua serie personale, che qui ritorna in tutta la sua gloria con il costume rosso e nero (ben più serio e meno chiacchierone di quanto visto in She-Hulk a dimostrare ulteriormente la vicinanza con il passato), illudendoci che la violenza che contraddistingueva quei prodotti sembrasse essere nuovamente al centro di questo nuovo corso. A sottolinearlo ci sono poi diverse sequenze con protagonista Kingpin ed alcune esecuzioni ben più sanguinolente di quanto ci si aspetterebbe da un prodotto facente parte del MCU.

Dopo essersi rimessa in pari, la storia ci mostra Maya fuggire da New York per rifugiarsi nella sua città natale in Oklahoma e pianificare la sua scalata al potere. L’elemento di certo più convincente della produzione è l’approfondimento della nazione Choctaw, sia nel mostrare la loro vita moderna sia nella rappresentazione di alcune scene del loro passato degne di un documentario storico. Fino al terzo episodio, la serie cerca di mantenere i toni seri e cupi dell’introduzione, ponendo il crime come genere fondante di gran parte delle scene, ma senza dimenticare di inserire una giusta dose di azione realistica per a velocizzare il ritmo e a smuovere la situazione.

Un bizzarro giro di boa

Se non tutto funzionava alla perfezione, i primi episodi riescono comunque a mantenersi solidi e a mettere in scena un ottimo prodotto di intrattenimento. Con il quarto episodio qualcosa sembra però incrinarsi: forse per mancanza di idee, forse per eccedenza di quest’ultime, la narrazione subisce una brusca fermata per lasciare ai personaggi il tempo di introdurre e spiegare alcuni poteri di cui la protagonista sembra essere dotata grazie all’eco delle generazioni passate. Da qui si procede con un quinto episodio finale che finisce per riconvertire completamente tutto ciò che di buono si era presentato fino a quel momento trasformando il tutto in un episodio che non avrebbe sfigurato in una produzione per bambini su Disney Channel, con poteri magici che sconfiggono il villain senza nemmeno bisogno di combattere. Ad aggravare la situazione – o a migliorarla, almeno per quelli che salteranno a piè pari questa serie – contribuisce il fatto che a conclusione raggiunta non sia cambiato assolutamente nulla della situazione iniziale e che l’unica informazione degna di nota per il futuro dei personaggi avvenga in una banale post-credit.

Il personaggio di Maya, che non beneficia enormemente dell’interpretazione di Alaqua Cox tutto sommato sufficiente ma mai brillante, non subisce quasi nessuna evoluzione ad eccezione della riconciliazione con alcuni familiari, che con grande probabilità non rivedremo mai più, e manifesta quindi come unico elemento di interesse quello di essere un’eroina sordomuta. Ad alzare l’asticella ci pensa il Kingpin di Vincent D’Onofrio, sempre convincente e dalla giusta presenza scenica anche se penalizzato enormemente da una sceneggiatura non all’altezza.

Conclusioni

Partita incredibilmente bene, Echo frena bruscamente poco prima del finale per introdurre elementi fantastici che distruggono completamente l’elemento di realismo e di crime story costruiti fino a quel momento e che accelerano l’arrivo ad un finale decisamente povero e svogliato che incastra la serie tra quelle produzioni “inutili” nel grande quadro del MCU. La grande apertura di Spotlight non sembra quindi essere andata per il verso giusto e le speranze di una rimonta dei Marvel Studios sono sempre meno, tra fan che ormai hanno deciso di abbandonare completamente il loro supporto ed altri, ormai decisamente pochi, che continuano a mandare giù il boccone amaro e a voltarsi verso i progetti futuri.

Per chi si ritrova indeciso sul recupero di questa serie possiamo soltanto dire che, nel gigantesco mare di produzioni televisive che tutti i giorni arrivano sulle varie piattaforme, spendere il proprio tempo, anche se solo per cinque episodi, sembra essere ancora una volta un gioco che non vale la candela.

Mattia Bianconi
Mattia Bianconi,
Redattore.