A tre anni dal primo film tratto dall’opera fondamentale (nel campo dello sci-fi letterario) di Frank Herbert, Dune: Parte 2 riprende esattamente dove ci aveva lasciati: sul pianeta desertificato Arrakis, al fianco di Paul Atreides (Timothée Chalamet) e sua madre Jessica (Rebecca Ferguson) appena unitisi, dopo lo sterminio della loro casata, al popolo Fremen, nativi del luogo in lotta da decenni con la malvagia famiglia Harkonnen che governa col pugno di ferro il pianeta.

L’apertura di questo seguito riprende evidentemente la struttura del primo film: in entrambi, prima ancora di vedere il logo della casa di distribuzione sentiamo una frase pronunciata in una lingua misteriosa, a cui fa seguito una narrazione femminile ed infine una visione di Paul immerso nel sonno. 

Oltre ad anticipare alcuni elementi importanti per la narrazione (i personaggi femminili coinvolti sono Chani e la principessa Irulan -interpretati da Zendaya e Florence Pugh rispettivamente-, figure speculari nella vita del protagonista; l’importanza dei sogni e delle premonizioni viene stabilita, così come l’elemento della narrazione  della Storia attraverso terze persone), il prologo ci comunica sin da subito la propria dipendenza dal primo Dune. Questo viene così a configurarsi ancora di più come un lungo preambolo fondamentale per la visione di ciò che seguirà: questo film più che un seguito va considerato un vero e proprio secondo capitolo della stessa storia.

Dalla carta al grande schermo

Come adattare un romanzo inadattabile? Il Dune di Herbert è un romanzo di intrighi politici e manovre interne che fa molto affidamento sui pensieri dei personaggi e su discussioni di tipo strategico e filosofico, lasciando spesso il grosso dell’azione al di fuori della pagina.

Era un’impresa davanti al quale il regista Denis Villeneuve, erede di una tradizione di adattamenti non riusciti (ricordiamo il progetto monstrum di 14 ore mai realizzato di Jodorowsky, e il Dune rinnegato di David Lynch) si era già trovato di fronte. Impresa che al netto di alcune necessarie differenze nel passaggio da libro a schermo gli era già riuscita nel 2021, e che per nostra fortuna anche in questo caso, con cambiamenti più radicali, risulta per lo più un successo.

Un cambiamento particolarmente rilevante riguarda la maniera in cui si è deciso di portare su schermo il personaggio di Alia, sorella di Paul. Nel film di Villeneuve questa influenza in maniera molto più indiretta le azioni di Jessica, loro madre, e ha molta meno parte nel climax finale. Tuttavia, vista la difficoltà di rappresentare visivamente un personaggio simile senza scadere nel ridicolo o senza affrontare enormi difficoltà (Alia viene descritta nel libro come una bambina estremamente precoce), la scelta compiuta risulta in fin dei conti saggia.

Più fondamentale è stato il lavoro svolto su Chani e la sua relazione con Paul. I cambiamenti apportati si possono considerare tendenzialmente positivi, visto che danno spessore e personalità ad un personaggio che pur avendo un ruolo fondamentale nel libro risultava a dir poco invisibile. Tuttavia, visto l’interesse dimostrato da Villeneuve nell’adattare anche Messia di Dune, seguito letterario, sarà interessante vedere come saranno affrontate alcune delle scelte compiute nella parte finale del film riguardo alla protagonista femminile. 

Alcuni temi preponderanti in Messia di Dune, che rappresentava per ammissione dello stesso Herbert una sorta di inversione di rotta rispetto al percorso di Paul nel primo libro, vengono già affrontati in Dune: Parte Due, ad esempio la strumentalizzazione del fanatismo religioso per scopi personali ed il pericolo insito nel seguire figure carismatiche. Una scelta anch’essa apprezzabile, se l’intento di Villeneuve di realizzare una trilogia cinematografica dedicata al personaggio del giovane Atreides si realizzerà.

Curiosa, infine, appare la scelta di mantenere la sezione dedicata a Lady Margot Fenring (Léa Seydoux), che nei seguiti letterari non ha alcuna conseguenza, tantopiù che ci si è invece disfatti di Thufir Hawat (Stephen McKinley Henderson), apparso nel primo film e la cui vicenda personale aiuta nel finale del libro ad adombrare di drammaticità la vittoria finale di Paul. Resterà da scoprire se Villeneuve ha intenzione, anche in questo caso, di allontanarsi dal libro e di dare al personaggio un ruolo più ampio nel sequel.

Una buona base

Gli elementi che funzionavano nel primo Dune funzionano anche qui: la costruzione di un mondo fantastico, assolutamente estraneo rispetto al nostro eppure così familiare e credibile, con un’epicità e una grandiosità da blockbuster supportata, in questo caso, anche dalla cornice naturale offerta dal deserto, molto più presente in questo film; il lavoro sulla colonna sonora (anche in questo caso composta da Hans Zimmer) e il sonoro più in generale, contribuiscono a rendere l’esperienza cinematografica non consigliata, ma piuttosto obbligata; un ottimo lavoro di scrittura per un gruppo di personaggi così vasto, che permette ad ogni personalità di venire ben caratterizzata anche con pochi tratti. Certo un eccellente lavoro è stato svolto anche nel casting: i “nuovi arrivati” si inseriscono bene all’interno del gruppo di attori che avevano già partecipato alla prima parte, con una nota di merito in particolare rivolta alla fisicità e il linguaggio corporeo di Austin Butler nei panni del temibile Feyd-Rautha.

Una menzione d’onore va poi a Chalamet, che realizza in maniera estremamente credibile e chiara il tumultuoso percorso interiore del protagonista. Attraverso i diversi nomi che in corso d’opera gli vengono assegnati (da “Paul Atreides” passiamo al nome Fremen “Muad’Dib Usul” e al più referenziale “Lisan al Gaib”), Paul muta in maniera consistente nel corso del film per poi raggiungere la sua “forma finale”, terribile e temibile: quella del messianico “Kwisatz Haderach”.

Unica pecca quella di trasformare il personaggio di Stilgar (Javier Barbem), leader dei Fremen, in una spalla comica che dà vita ad alcuni siparietti stranianti in un contesto altrimenti serio, i quali per di più rischiano di sminuire il suo fanatismo religioso.

Dove poi il primo film peccava un poco rispetto all’assai vituperato lavoro svolto da Lynch, ovvero una fotografia relativamente statica, qui assistiamo ad alcune interessanti soluzioni di colore, specialmente nella scena ambientata sul pianeta Giedi Prime o nelle sequenze di battaglia nel deserto di Arrakis che non potranno non ricordare il lavoro svolto in Blade Runner 2049.

Conclusioni

Dune-Parte Due è un blockbuster riuscito, un racconto epico nel quale ogni elemento, narrativo e tecnico, contribuisce alla tessitura di un arazzo ricco (a tratti, forse, anche troppo ricco) che prosegue la tradizione del suo predecessore nel rompere la “maledizione” dei libri e dei film da essi tratti. 

Resta da vedere se i risultati al botteghino saranno abbastanza buoni da permettere a Villeneuve di terminare la trilogia al cui ultimo capitolo il finale di questo film, evidentemente, strizza l’occhio.

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Silvia Strambi,
Redattrice.